Le guerre dell’era moderna si combattono a colpi di attacchi informatici. Non c’è giorno che gli hacker non distruggano sistemi digitali di aziende e istituzioni pubbliche con danni enormi. La Cina sembra essere la maggiore responsabile di queste campagne belliche contro i suoi atavici nemici. Poi ci pensa Pechino a sminuire i danni arrecati e negare ogni responsabilità rispedendo al mittente ogni accusa. Una triste consuetudine.
La storia dell’umanità è stata sempre caratterizzata da innumerevoli conflitti bellici per dirimere i rapporti politici tra le diverse nazioni. D’altronde è passata alla leggenda la celebre frase del generale e stratega militare prussiano Carl von Clausewitz che, all’inizio dell’800, sentenziò con fermezza “La guerra non è che la continuazione della politica con altri mezzi“.
La guerra non è, dunque, solamente un atto politico ma un vero strumento della politica, un seguito del procedimento politico, una sua continuazione con altri metodi. A dimostrazione della multidimensionalità della guerra che provoca la completa sparizione del concetto di pace.
Infatti è stato calcolato che nello spazio web avvengono in un’ora più attacchi militari che in tutta la seconda guerra mondiale. Inoltre la bassa letalità di alcuni strumenti non convenzionali li ha resi seducenti e utilizzabili non solo contro i cosiddetti nemici, ma anche contro alleati riottosi per ricondurli sulla retta via.
Ad esempio rispondono a questi requisiti le sanzioni economiche, oggi denominate guerre dei dazi. Nelle ultime settimane il quotidiano britannico The Guardian ha parlato di continui attacchi hackers finanziati dalla Repubblica Popolare Cinese. Secondo gli esperti occidentali, Pechino è impegnata in una guerra a bassa intensità nei confronti dei suoi avversari occidentali, soprattutto per quanto riguarda i furti della proprietà intellettuale.
Nel mese di luglio scorso, USA, UE, NATO e Regno Unito hanno accusato la Cina di essere l’artefice del massiccio attacco informatico al server del software della società Microsoft Exchange, avvenuto nel mese di marzo.
Quest’ultima è uno dei più diffusi software per la gestione dei server aziendali di e-mail e calendari. Nel classico gioco delle parti, Pechino ha rispedito al mittente l’accusa affermando che l’intento degli alleati occidentali è la diffamazione della Cina per motivi politici. Al punto di considerare gli USA la più grande fonte di attacchi informatici al mondo. Sta di fatto che l’intraprendenza cinese al riguardo si è manifestata solo negli ultimi anni.
Nel 2015, durante una visita di Stato negli USA, il presidente della Repubblica Popolare Cinese, Xi Jinping, si era accordato con l’allora presidente statunitense Barack Obama sul tema della sicurezza informatica. L’incontro sancì che entrambi i Governi non sarebbero stati coinvolti con consapevolezza nel furto online di proprietà intellettuale.
Qualche tempo dopo un accordo molto simile veniva stipulato col Governo britannico. E’ chiaro che, spesso, gli accordi internazionali tra Stati, nonostante siano sanciti dai crismi dell’ufficialità, lasciano il tempo che trovano. O, come si suole dire in alcuni casi, sono promesse da marinaio.
Tant’è che la guerra commerciale condotta dall’amministrazione Trump ha cambiato il corso degli eventi in modo tale che il rapporto tra i due Paesi e l’Occidente è diventato sempre più conflittuale.
Nel 2018, infatti, il Governo britannico ha accusato in maniera diretta ed esplicita il Governo cinese di essere responsabile di attacchi informatici, dichiarando che il Ministero della Sicurezza di Stato Cinese (MSS) era la mente che organizzava gli attacchi hackers.
C’è da sottolineare che la Cina, nel frattempo, ha deciso di riorganizzare le sue attività di hacking togliendo la gestione delle operazioni globali all’Esercito di Liberazione del Popolo, spostandole al MSS. Significherà qualcosa? Chissà!
Col termine hacking si intendono tutte le attività che mirano alla compromissione di dispositivi digitali di ogni genere fino ad intere reti. Lo scopo è ottenere un guadagno finanziario, compiere azioni di protesta, raccogliere informazioni ed ogni altra attività che possa arrecare danno.
Si è talmente diffuso che alcuni studiosi hanno dichiarato che se prima l’hacking era un dispetto compiuto da ragazzini, oggi è un’attività che rende miliardi di dollari. Se prima c’erano le cannonate, oggi i nuovi guerrieri sono gli hackers. E poi lo chiamano “progresso” della civiltà umana. Ma fatemi il favore.