Il procuratore Viola ricorda Falcone quando asseriva che le attività contro la criminalità organizzata ed il maxiprocesso sono serviti per dimostrare l’invulnerabilità della mafia e di averla privata della sua aura di impunità e invincibilità. Di contro, afferma il procuratore, Cosa Nostra è ancora forte dunque occorre non darle tregua.
Firenze – Prosegue senza soste il nostro giro dei tribunali italiani dove abbiamo incontrato grande disponibilità fra i magistrati che ci hanno concesso le interviste. Stavolta abbiamo affrontato l’argomento che ci sta più a cuore con Marcello Viola, 64 anni, nisseno di origini, in magistratura dal 1981. Affidato per il tirocinio al consigliere istruttore Rocco Chinnici, ucciso nel luglio 1983, Viola ha iniziato la sua carriera come giudice istruttore a Lanusei, poi pretore ad Avola e di seguito a Palermo. Ha proseguito come Gip e sostituto procuratore nel capoluogo siciliano per poi dirigere, dal novembre 2011, la Procura di Trapani sino a diventare nel 2016 procuratore generale di Firenze.
– L’argomento, come dicevamo in apertura, è sempre lo stesso: lotta alla mafia. Dopo 29 anni dalle stragi di Capaci e di via D’Amelio ad oggi come siamo messi?
“…Dopo le stragi, dopo quei tragici eventi che hanno segnato la vita del Paese in modo incancellabile – dice Viola – l’azione dello Stato, finalmente supportata dall’accresciuto sostegno di tante persone perbene, ha assestato colpi durissimi alla mafia, nel suo assetto “militare”, muovendosi nel solco tracciato da Falcone e Borsellino: basti ricordare che oggi tutti i capi storici di Cosa Nostra, tranne uno solo, sono all’ergastolo, e che alcuni sono anche nel corso di questi decenni deceduti. Aveva ragione Giovanni Falcone nel considerare che il risultato maggiore conseguito con anni di indagini e col maxi-processo era quello “di avere privato la mafia della sua aura di impunità e invincibilità”, di “avere dimostrato la vulnerabilità della mafia”, come fenomeno d’altronde destinato ad avere fine come ogni fenomeno umano…
…Tuttavia, la mafia è ancora assai forte e continua a controllare ampi settori dell’economia, assoggettando ad estorsione numerosissime attività commerciali e imprenditoriali, anche a fini di controllo del territorio, gestendo direttamente o tramite altri il traffico degli stupefacenti, infiltrandosi nelle attività di impresa, anche attraverso l’usura, e sottoponendo a pressione e a varie forme di prelievo illecito l’impresa stessa. Le numerose indagini hanno disvelato, anche in Toscana, l’esistenza di meccanismi di infiltrazione delle diverse mafie, altrettanto pervasive di un virus, nei circuiti dell’economia legale e nel tessuto dell’economia locale, con molteplici e diversificati investimenti, dall’accaparramento di lavori pubblici e privati, al settore immobiliare, a quello del turismo, all’acquisizione o alla gestione di pubblici esercizi, specie di ristorazione o intrattenimento; e ciò a fini di riciclaggio di denaro proveniente dalle più varie attività criminali, quali la gestione del racket della prostituzione, spesso riguardante donne straniere vittime di tratta, il traffico di rifiuti o di prodotti contraffatti, il commercio degli stupefacenti…
…Il tutto in un contesto economico in cui i perduranti effetti della crisi già in atto, e soprattutto quelli della terribile pandemia, continuano a condizionare le dinamiche economico-finanziarie e sociali del territorio, aprendo spazi smisurati alle organizzazioni criminali ed alle strategie di aggressione alle realtà imprenditoriali sane, spesso finalizzate – è il caso, per es., dei prestiti usurari e della partecipazione al capitale sociale – alla progressiva acquisizione delle aziende. I clan cercano di sfruttare la crisi e l’emergenza da Coronavirus – che è anche emergenza economica e sociale – per infiltrarsi ulteriormente nel tessuto economico delle Regioni, tra le quali a forte rischio di inquinamento è da ritenersi pure la Toscana, per l’importanza e le dimensioni del suo apparato economico e produttivo, che costituisce terreno ideale per il reinvestimento di ingenti somme di denaro di provenienza illecita…
…La straordinaria liquidità di cui dispongono le associazioni criminali, il c.d. “dark money”, frutto degli immensi guadagni derivanti dalle loro attività illecite, prima fra tutte il traffico di sostanze stupefacenti, consente loro, in tal modo erodendo il tessuto economico sano, di potersi accaparrare numerose attività economiche legali in crisi di liquidità che, in una situazione di corrispondente crisi dei consumi, per ciò stesso diventano facile obiettivo delle cosche. E, in assenza di adeguate misure di sostegno e della tutela proveniente dalla disponibilità di capitali legali, è facile prevedere, soprattutto nelle fasce sociali e popolari più disagiate e più aggredite dalla crisi, l’inevitabile consegnarsi a forme di welfare mafioso, ad una vera e propria economia criminale di sussistenza, più che disponibile ad accettare flussi economici mirati ad inserirsi in attività imprenditoriali in difficoltà o fallite. Uno spazio particolare va dedicato al tema della corruzione, che Paolo Borsellino definì come “l’anticamera della mafia“, con ciò riferendosi esplicitamente al fatto che “oggi, se un boss mafioso intende riciclare o investire al Nord capitali di provenienza illecita non può che rivolgersi a politici o amministratori corrotti”…
…Il nesso tra criminalità organizzata di qualsivoglia natura e corruzione è diretto e stringente, in quanto le organizzazioni mafiose ricorrono sempre più frequentemente, nei confronti dei c.d. colletti bianchi, all’uso di mezzi corruttivi anziché ai tradizionali metodi di intimidazione e di violenza. Pertanto, se non si affronta con decisione la questione della corruzione, se la si sottovaluta, si fa un enorme regalo alle mafie…”.
Matteo Messina Denaro
– Lei è stato procuratore a Trapani, territorio in cui Cosa Nostra è rappresentata da Messina Denaro, a suo avviso comanda lui? E soprattutto lo prenderemo?
“…Per cercare di capire cosa sia oggi Cosa Nostra è essenziale, a mio avviso, guardare a Trapani e al suo complesso territorio, da cui proviene Matteo Messina Denaro, l’ultimo capo storico ancora oggi latitante. Io non credo che sia cambiato molto negli ultimi decenni. L’organizzazione mafiosa trapanese, storicamente legata a quella palermitana, è sempre capillarmente radicata sul territorio e condiziona pesantemente la realtà sociale, economica ed istituzionale, rafforzando per un verso il già ferreo controllo sulle aree di interesse e perseguendo nel contempo fini più adeguati ai tempi, attraverso l’instaurazione di rapporti con ambienti della imprenditoria e della pubblica Amministrazione...
…Come ha sottolineato di recente la D.I.A. nella sua relazione semestrale, la complessa realtà trapanese è connotata da un consolidato e del tutto particolare legame tra mafia, massoneria e ambienti della politica e della pubblica Amministrazione, che ha sovente inquinato e condizionato pesantemente il corretto svolgimento della vita pubblica. Nel periodo del mio servizio alla Procura di Trapani, più d’una indagine ci ha consentito di verificare l’esistenza di collegamenti di ambienti criminali con logge irregolari…
…Le indagini finalizzate alla ricerca e cattura di Messina Denaro sono di competenza della Procura della Repubblica di Palermo. Per ciò che posso pensarne io, credo che Messina Denaro sia sempre il soggetto più importante del contesto mafioso e criminale trapanese, nonostante la pressione esercitata sui suoi sodali e fiancheggiatori dalle articolate indagini dirette a porre fine alla sua latitanza; e che si potrà giungere alla sua cattura quando verrà meno la rete di complicità e di coperture di egli indiscutibilmente gode…”.
…SEGUE…