I partiti o si rinnovano, o sono destinati all’oblio. Stessa cosa per la politica che dovrà confrontarsi con la prossima tornata elettorale il cui peggior nemico sarà l’astensionismo. Non si può continuare facendo affidamento soltanto su Mario Draghi. Qualcuno sta pensando al dopo? La situazione che abbiamo davanti è da default ma nessuno sembra accorgersene. Soprattutto chi pensa alle proprie tasche e ad accaparrarsi la pensione senza aver messo piede in aula.
Roma – Andiamo di male in peggio. La politica debole ed incapace di governare gli eventi sociali, tra litigi e scaramucce, si è affidata a Draghi per nascondere i propri limiti. Un uomo che ha diretto la Bce e governato l’economia europea, e che per molti è divenuto l’ancora di salvezza della nave Italia. Una salvezza ancora tutta da vedere.
Il Governo ormai è una sorta di consiglio di amministrazione di una banca. La politica si affida e confida nel traghettatore, tanto che i programmi di destra e sinistra sono del tutto simili. Ma siamo in emergenza e tutto si giustifica. Sino ad un certo punto, naturalmente.
Passano i mesi e sta per trascorrere un’intera legislatura con circa la metà dei parlamentari che, al prossimo giro di boa, non siederanno più sugli scranni della Camera dei Deputati e del Senato. Ma questo è niente di fronte al pericolo ancora più grande e che tutti sottovalutano: l’astensionismo.
In questo strano contesto l’unica bussola rimane la rilevazione dei sondaggi per orientare la rotta dei partiti. Ecco perché il pendolo di ogni raggruppamento politico oscilla prima da una parte e subito dopo dall’altra, in funzione dell’umore della gente.
In un modo o nell’altro gli italiani rappresentano un popolo di delusi, o se si preferisce disillusi, che non credono più alle tante, tantissime, chiacchiere inutili dei leader politici. D’altronde come si fa a non dargli ragione se tutti i protagonisti di questa legislatura hanno avuto responsabilità di governo?
Non serve certo trovare i migliori nell’opposizione che ha giocato un ruolo esclusivo di rimessa e di critica, dunque praticamente inutile. E’ sin troppo facile non entrare in partita per non sporcarsi. E che dire del fallimento della grande illusione e speranza che si era manifestata nel 2018, quando un elettore su tre si era affidato a Grillo?
Altrettanto abnorme è il finale dell’iperbole che caratterizza il M5s, impegnato a trovare solo cavilli statutari per uscire dall’impasse. Infatti dopo tante promesse il Garante e la sua ciurma sono impegnati a salvare la barca pentastellata aggrappandosi a qualche articolo dello statuto, per non soffocare. Per non calare a picco.
Adesso il presente ed il futuro sono affidati a Draghi. Ma chi pensa al dopo? La sensazione è di forte scetticismo, di grandi ansie, di reali paure per un futuro che si preannuncia nebuloso. Occorre ricostruire i partiti che abbiano una cultura, un’identità, un significato e un progetto. Partiti che possano contare realmente in un contesto politico nuovo e non in quello attuale ormai asfittico e perduto, soprattutto dal punto di vista etico.
Partiti che somiglino almeno un po’ alle parole che Mattarella ha rivolto loro, spronandoli, nel suo discorso di insediamento.
Partiti che promettano di durare nel tempo e non di sfaldarsi alla prima occasione o al primo litigio.
Ogni coalizione si è liquefatta ed è bastato che arrivasse “Mandrake” a Palazzo Chigi, per mandare in frantumi tutta la “prosopopea” dei leader che sino a ieri hanno fatto e disfatto a loro piacimento.
Insomma il Governo di unità nazionale ha imposto un cambio di passo, portando anche l’unica opposizione a scontrarsi con fallimenti e delusioni, mentre i deputati neofiti ed i neo gruppi misti parlamentari hanno organizzato una semplice “resistenza” per la salvaguardia della propria “pensione”.
Non rimane che azionare la politica, quella vera se ancora esiste, la quale senza personalismi abbia una visione reale della situazione e non guardi, solamente, a come distruggere l’avversario, fosse solo con una legge elettorale.
In sostanza fino a quando dai partiti non arriveranno iniziative e disegni diversi dalle semplici strategie umorali quotidiane non potrà cambiare mai nulla. Bisogna tornare alle discussioni, al contraddittorio, anche acceso, ma basta con queste lagne dei post sui social che valgono solo per governare l’attimo fuggente.
L’emergenza, che ha fatto comodo, non durerà in eterno. Prima o poi si dovrà tornare in Parlamento se si intende dare un futuro concreto a questo disgraziatissimo Paese.