Concessionari balneari: finita la pacchia

Bandi di gara e parità di accesso, non più raccomandazioni dei politici amici e soldi facili a fronte di pochi euro da pagare. Sul fronte delle concessioni balneari deve cambiare un intero sistema e chiudere una volta per tutte con le proroghe. L’era dei furbetti milionari è finita.

Negli ultimi tempi sui giornali del “Pensiero Unico” non si fa che parlare di terza dose per i vaccini e di estensione del Green pass. Chiacchiere, spesso per dare fiato alla bocca, senza un minimo di raziocinio, solo una canea selvaggia che si azzuffa pensando ognuno di avere la ricetta giusta. Così facendo sono passate in secondo ordine tematiche che, invece, rappresentano un aspetto fondamentale per l’economia italiana.

Una di queste sono le concessioni balneari e la concorrenza. Una problematica non di poco conto vista la variegata composizione politica della maggioranza. L’aspetto fondamentale è il ricco business che fruttano le concessioni balneari, dove esistono canoni risibili rispetto ai guadagni che generano.

Per tacere dei molti stagionali assunti in nero, quindi si aggiunge evasione fiscale e contributiva. E poi regaliamo i lidi a quattro soldi. A fronte dei prezzi da capogiro per sdraio e ombrellone. C’è da dire che, almeno dal punto di vista formale, il problema riguarda le concessioni di ogni tipo, come le bancarelle dei venditori ambulanti che si sono già fatti sentire con diverse manifestazioni di piazza nella capitale.

Finora le autorizzazioni sono state assegnate in via diretta, pratica che ha sempre favorito coloro che avevano i giusti referenti politici a cui offrivano in cambio voti e prebende di varia natura. Adesso il PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) ci impone di attuare la direttiva Bolkestein, una vera liberalizzazione delle concessioni, che dovranno sottostare ad una procedura di gara per essere affidate al migliore offerente.

La direttiva è stata emanata nel 2006 su proposta dell’allora Commissario alla concorrenza Frits Bolkestein, da cui prende il nome. Lo scopo era chiaro: garantire la concorrenza nell’ambito della UE per quanto riguarda l’offerta di servizi. Quindi sono ben 15 anni che non attuiamo una direttiva che fa parte del diritto dell’UE, di cui asseriamo di farne parte e ci si riempie la bocca solo di retorica o di frasi tipo “ce lo chiede l’Europa“.

Anche questa ce l’ha chiesta l’Europa e noi con furbizia e sotterfugi siamo stati in grado di disattendere una delle fonti del diritto europeo, dotata di efficacia vincolante. Per i nostri saltimbanchi della politica, ha perso sia il vincolo che l’efficacia. La ratio della direttiva è di garantire la parità di accesso a tutti i professionisti e alle imprese che operano nell’UE, compreso il settore delle concessioni, per il quale deve essere indetto un regolare bando di gara.

Il problema delle concessioni è sorto da una segnalazione dell’Antitrust al Governo Draghi, perché il nostro Paese rischia l’apertura di una procedura d’infrazione. Secondo AGCM, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, bisogna darsi una mossa. Urge, infatti, una riforma tempestiva per eliminare l’uso distorto delle autorizzazioni e l’assegnazione per via diretta attraverso rinnovi automatici.

L’AGCM parla di limitazione della concorrenza e chiede la repentina abrogazione della Legge del 2018 che ha prorogato le concessioni. Inoltre, bisogna avviare una procedura selettiva con bando di gara e parità di accesso.

Qualche cifra ci aiuta a comprendere l’entità del fenomeno. Secondo Legambiente il nostro territorio è attraversato da più di 3mila km di spiagge con 61mila concessioni. Quelle balneari sono 12.166 e sono cresciute del 12,5%. Gli incassi per lo Stato (dati 2019) ammontano a 115 milioni di euro, di cui riscossi solo 83. Il resto va a rimpinguare l’arretrato che è di 235 milioni.

Ogni concessione varrebbe, dunque, 9200 euro, ma gli importi versati sono molto più bassi, tenendo conto anche degli elevati guadagni soprattutto di quelli che vanno per la maggiore. Si pensi che il Papeete di Milano Marittima, luogo tanto caro al leghista Matteo Salvini, pare che fatturi più di 2 milioni di euro. Per versare un canone di 10mila. Bella la vita dei concessionari italiani. E hanno pure il coraggio di lamentarsi.

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