Il vero problema tutto italiano riguarda i bassi livelli di qualifiche degli occupati e da una popolazione in età lavorativa senza adeguati titoli di studio. Si dovrebbe investire molto di più in formazione con particolare attenzione a quella continua. In questo campo c’è anche tanta approssimazione e aziende di formazione che esistono solo sulla carta e che intascano soldi dallo Stato senza “formare” un fico secco.
Roma – Il lavoro è stata l’attività umana che più ha subito ripercussioni dalla pandemia. C’è chi lo ha perso, chi è stato o tuttora è in cassa integrazione e chi ha avuto a che fare con un nuovo modello di organizzazione, lo smart working. Il “futuro del lavoro” è stato il tema centrale del XXIII “Rapporto sul Mercato del Lavoro e la contrattazione collettiva 2021” del CNEL – Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro – presentato lo scorso 21 dicembre.
Il presidente Tiziano Treu ha dichiarato in sintesi che il Paese è in condizioni migliori rispetto al 2020: ci sono segnali di una consistente ripresa economica nonostante la strada per recuperare il lavoro perso sia ancora irta di difficoltà, soprattutto, per donne e giovani. I comparti della green e white economy (beni e servizi di natura sanitaria) saranno trainanti per nuove professioni, per l’occupazione e l’economia.
Inoltre ci sarà sempre più bisogno di professionalità per la transizione ecologica e richieste di operatori nel sociale e nel sanitario, nonché nei servizi alla persona e di educazione. Infine, di nuove competenze nell’agricoltura e nel digitale.
Il rapporto è una vasta disamina, ricca di una gran mole di dati e tabelle, di ciò che ha rappresentato la pandemia sul lavoro. Per la prima volta è stato dedicato un capitolo al lavoro libero professionale ed a quello di chi è stato privato della libertà individuale. L’aspetto più interessante emerso sono le forme di lavoro precario, diffuse ed elevate. Si tratta di part-time involontario e contratti a termine.
Con la prima voce l‘Istat rileva il numero di occupati con orario ridotto che dichiarano di aver accettato un lavoro part-time in assenza di opportunità di lavoro a tempo pieno. Quindi, orario ridotto, non per scelta, ma per costrizione. Spesso questi lavori sono di breve, se non brevissima durata, e impediscono, di fatto, ogni prospettiva di sviluppo. La possibilità che questi lavori possano trasformarsi a tempo indeterminato sono molto ridotte.
Questa drammatica incertezza sulle prospettive pesa sull’intera economia ed i vari tentativi da parte del Governo di stabilizzazione del lavoro precario, sono stati solo parzialmente utili. Inoltre la crisi sanitaria si è fatta sentire in modo asimmetrico, penalizzando, almeno nelle prima fase, questi settori a forte presenza femminile, come il commercio.
Le maggiori difficoltà le hanno registrate le lavoratrici con figli piccoli e quando c’è stata la Dad. Tuttavia gli ammortizzatori sociali e lo smart working hanno fatto da argine alla deriva occupazionale. Per i più giovani è stato, invece, registrato un calo occupazionale nella prima fase, per poi risalire col lavoro a termine. Un fenomeno che ha segnato l’ultimo decennio è stato la continua crescita del numero dei contratti collettivi di lavoro.
Sono stati depositati al CNEL ben 933 contratti collettivi per i lavoratori privati. I settori più interessati sono: chimica; lavoro domestico; istruzione; sanità; assistenza; cultura; enti. Mentre quelli in lieve ribasso sono quelli dell’edilizia; legno; arredamento. Un’eredità che si è acuita con la pandemia è la crescita del già cospicuo numero di lavoratori potenziali, che manifestano difficoltà ad inserirsi nei circuiti produttivi.
D’altro canto le oscillazioni dell’attività economica e della domanda di lavoro hanno provocato problemi di scarsità di manodopera in diverse aziende. Con i cambiamenti in atto a ciclo continuo, basilare è la formazione.
Nota dolente della struttura sociale socio-economica italiana sono i bassi livelli di qualifiche dei lavoratori e da una popolazione in età lavorativa senza adeguati titoli di studio. Se ne deduce che si dovrebbe investire molto in formazione, con particolare attenzione a quella continua.
Aspetti che non sembrano, al momento, essere al centro dell’agenda politica. Avremmo bisogno di una classe dirigente che sia capace di guardare oltre il proprio naso e che abbia un progetto di ampio respiro. Esiste in Italia?