Il decreto recepisce una norma europea ma ci sono alcuni punti poco chiari. Vedremo se verranno recepite anche la legge contro le querele temerarie ai giornalisti e quella che dovrebbe annullare la condanna penale con il carcere in caso di diffamazione. Anche in questi due casi l’Europa spinge da anni ma l’Italia frena.
Roma – La presunzione di innocenza è legge. Da adesso in poi maggiore attenzione nel divulgare le notizie di reato, rendendo in tal modo effettivo un principio costituzionalmente garantito. Non più veline nelle redazioni dei giornali e plastici negli studi televisivi per quanto riguarda le comunicazioni dell’autorità giudiziaria.
Il decreto legislativo approvato dal CdM recepisce la direttiva Ue 343/2016 sulla presunzione d’innocenza. Lo schema del provvedimento ha ricevuto il parere positivo delle Commissioni Giustizia di Camera e Senato e, mercoledì, anche quello del Consiglio dei Ministri
Nell’articolo 2 del D.L.vo è previsto un ulteriore limite imposto non solo all’Autorità Giudiziaria ma anche alle Forze dell’ordine e consiste nel divieto di indicare pubblicamente come colpevole la persona sottoposta alle indagini o l’imputato fino a quando la colpevolezza non sarà stata accertata con sentenza o decreto penale di condanna irrevocabili.
La norma, in pratica, è chiara e non concede spazi di manovra o di tolleranza, pena le sanzioni penali e disciplinari, l’obbligo di risarcimento del danno e la conseguente rettifica della dichiarazione resa entro 48 ore su richiesta dell’interessato, con le medesime modalità con cui è stata resa nota la notizia.
Peraltro se la rettifica non è fatta con il medesimo risalto che era stato concesso agli episodi di reato, il danneggiato potrà rivolgersi al Giudice civile per ottenere la pubblicazione con provvedimento d’urgenza.
In particolare, all’art. 3, è previsto che “…Il Procuratore della Repubblica mantiene personalmente i rapporti con gli organi di informazione esclusivamente tramite comunicati ufficiali oppure, nei casi di particolare rilevanza pubblica dei fatti, tramite conferenze stampa…”.
Dunque, almeno in teoria, niente più informazioni ai giornalisti al di fuori di scenari formali ma, meglio, se solo per iscritto. In sostanza non si potranno più mandare alla gogna mediatica, indagati e imputati per il solo fatto che si stanno accertando, attraverso un processo, responsabilità penali.
L’ex Procuratore Armando Spataro ad una lezione alla Scuola Superiore della Magistratura, ha ricordato che “…La comunicazione deve essere sempre sobria ed essenziale, in particolare le toghe non possono e non devono aspirare al ruolo di moralizzatori della società e la stampa deve evitare il processo mediatico ed i titoloni ad effetto…”.
In ogni caso le informazioni devono chiarire la fase in cui pende il procedimento penale, in modo da assicurare il diritto della persona sottoposta ad indagini, o all’imputato, a non essere indicati come colpevoli fino a quando la responsabilità non verrà definitivamente accertata.
Peraltro sono da evitare suggestive denominazioni ai procedimenti pendenti, che ledono la dignità processuale dell’imputato ed inficiano la presunzione di innocenza, che deve sempre essere perseguita nei fatti e non solo a parole, onde evitare diffamazioni o richieste di rettifica da parte degli interessati.
La responsabilità, in tal modo, ricade sul Procuratore Generale, il quale avrà il dovere di vigilare affinché vengano rispettate le tutele e le attenzioni imposte dalla norma.
Su questi aspetti, infatti, il P.G. dovrà informare la Corte di Cassazione, con almeno una relazione annuale, dal cui tenore potrebbero scaturire ulteriori accertamenti per avviare eventuali procedimenti disciplinari nei confronti dei magistrati.
L’articolo 4 del D.L.vo, inoltre, modifica il codice di procedura penale inserendo un nuovo articolo 115-bis (Garanzia della presunzione di innocenza), che impone ai magistrati di “pesare le parole” anche nello scrivere gli atti giudiziari.
In pratica nei provvedimenti diversi dalle sentenze, la persona sottoposta a indagini o l’imputato, non possono essere indicati come colpevoli fino alla sentenza definitiva. Rimane al palo, invece, la proposta di legge contro le querele temerarie ai giornalisti e la condanna penale con il carcere per diffamazione. Un caso, naturalmente.