Si torna al carbone? La transizione ecologica nella pattumiera

Come si fa a diversificare le fonti energetiche se quelle rinnovabili sono la negazione delle altre? E le emissioni nocive? La guerra ha scombussolato tutti i piani di risanamento ecologico ma occorre prestate attenzione prima di pensare, e mettere in atto, politiche ambientali che ci riportano indietro nel tempo di decenni. La guerra finirà ma i danni all’ambiente potrebbero essere irreparabili.  

Roma _ Sembra che non si aspettasse altro, un momento, una giustificazione qualsiasi per rallentare il processo di riconversione verso l’energia pulita. La crisi del gas e la guerra in Ucraina, infatti, hanno creato le condizioni per un cambiamento paradigmatico per la transizione elettrica dell’Unione Europea. E si ritorna a parlare di carbone, il combustibile a più alta intensità di emissioni.

Transizione ecologica? Un passo avanti e due passi indietro.

Negli ultimi anni erano cresciute le fonti di energia rinnovabili che avevano innescato un processo di graduale decarbonizzazione che, con gli ultimi avvenimenti, ha subito un forte rallentamento. E’ quanto risulta dalla sesta relazione annuale sul trend del mercato dell’elettricità dell’UE, realizzata da Ember, un centro studi ambientali, sorto nel 2008 nel Regno Unito per la riduzione dell’uso del carbone.

Il rapporto ha lanciato l’allarme sul rischio che corrono gli obiettivi climatici fissati dall’Europa, se non venissero intensificate le energie rinnovabili e, al contempo, chiuse le centrali a carbone.

L’autore del rapporto Charles Moore, durante la sua presentazione, si è espresso molto chiaramente: “…La crisi del gas è un cambiamento di paradigma per la transizione elettrica dell’UE. È necessaria un’azione per garantire che l’eliminazione graduale del carbone in Europa rimanga sulla buona strada…”.

Charles Moore

La legislazione è l’unico modo per garantire che le centrali a carbone vengano chiuse entro il 2030. I prezzi volatili del gas hanno chiarito che non si può fare affidamento solo sulle forze del mercato

Viene richiesto a viva voce l’intervento dello Stato perché il mercato, da solo, non è in grado di reggere i repentini cambiamenti. Dopo decenni di liberismo selvaggio in cui la figura delle istituzioni è stata vista come ostacolo al libero sviluppo delle forze produttive adesso, nel momento del bisogno, si chiede aiuto

Una sorta di ritorno al XVII secolo quando si diffuse il famoso motto: laissez faire, laissez passer (lasciate fare, lasciare passare), ovvero un sistema economico in cui le transazioni tra gruppi privati si persone si esprimono liberamente o quasi, prive di ogni forma di interventismo dello Stato.

Grano, gas, petrolio, acciaio e oro. I prezzi delle materie prime alle stelle.

In questo modo l’azione egoistica del singolo cittadino nella ricerca del proprio benessere sarebbe sufficiente a garantire la prosperità economica dell’intera società, secondo la metafora della mano invisibile. La storia, anche recente, ha dimostrato tuttavia che sono prevalse le azioni del singolo egoista, a discapito del benessere collettivo, e che le ferree leggi del mercato, tanto ferree non sono se ad ogni piè sospinto si chiede l’intervento degli enti statali.

Nel caso della crisi delle fonti energetiche che stiamo vivendo e della guerra in Ucraina, c’è da dire che Italia e Germania sono i due Paesi europei più dipendenti dal gas russo. Pare che già si stiano muovendo, per vedere il da farsi. In particolare l’Italia ha incrementato le quantità di gas provenienti da Azerbaijan e Algeria, e ha deciso di puntare sui tre rigassificatori presenti sul territorio. Ovvio che questo non può bastare per rispondere alle nostre esigenze. Ma intanto è qualcosa.

Data la situazione si sta diffondendo l’idea a livello europeo di rimandare i progetti di transizione energetica per la riduzione delle emissioni. Già un primo segnale in questa direzione è stato dato dalla Germania con la conferma dei motori termici. Questi ultimi utilizzano il calore come vettore energetico per la produzione di lavoro meccanico, eventualmente convertito in energia elettrica.

Ora stanno tornando in auge anche le centrali a carbone, si dice, per il tempo necessario. Nel nostro Paese ce ne sono sette distribuite tra Sardegna, Lazio, Puglia, Liguria, Friuli Venezia Giulia e Veneto. Secondo Confindustria Sardegna la guerra in Ucraina ci ha messo di fronte ad una dura realtà, anche perché come Stato abbiamo rinunciato ad avere una politica industriale e adesso si riparla di autonomia energetica. Poteva mancare la voce del sindacato? Certo che no.

Ecco quella della Filctem-Cgil, la federazione italiana dei lavoratori della chimica, tessili, dell’energia e delle manifatture. Ebbene l’associazione sindacale ha asserito che l’utopia di orientarsi solo con le rinnovabili s’è rivelata un fallimento alla prima crisi. Bisogna, invece, secondo questa vulgata, diversificare le fonti energetiche proprio per evitare di trovarsi in difficoltà.

Un po’ come il famoso motto popolare “tagliarsi gli attributi per fare un dispetto alla moglie“: si danneggia più sé stessi che risolvere il problema. Come si fa a diversificare le fonti energetiche se quelle rinnovabili sono la negazione delle altre?  

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