Tutto può succedere e sarebbe nella logica delle cose. Alla Raggi non va di uscire di scena senza lasciare uno dei suoi in Giunta. Ma questa certezza non la può dare Gualtieri che dietro le spalle ha mille pretendenti che spingono. Dunque non rimane che Michetti il sui seguito è meno vorace. Non rimane che attendere.
Roma – La nuova sfida per il Campidoglio corre veloce per recuperare i voti di Calenda e Raggi. Michetti è il mattatore ma, dopo il colloquio con il favoritissimo candidato del centrodestra, la sindaca frena:
“…Credo che in questo momento il sindaco debba raccontare il percorso fatto – ha detto la Raggi – e poi, chiunque vincerà, avrà modo di lavorare in tal senso… Lunedì incontrerò il candidato del centrosinistra…Nessuna indicazione di voto, le persone non sono mandrie da portare al pascolo e chiunque si farà la sua idea...”.
Dal canto suo Enrico Michetti ha parlato di un incontro interessante che ha spaziato dai problemi della Capitale alle periferie, dalla situazione dei lavoratori Alitalia al dossier Expo 2030:”…Non cerco accordi di palazzo – ha ribadito il candidato sindaco – questo è stato un incontro istituzionale importante e la sindaca è stata molto collaborativa…”. Dunque niente accenno a ciò che accadrà fine settimana prossima?
Insomma Michetti e Gualtieri non perdono tempo e cercano tra i delusi, tra gli orfani politici ed i non eletti, mentre c’è poco impegno nell’attrarre l’altra metà di cittadini che non si sono recati alle urne. Anzi nessuno ha proprio fatto nulla, per dire la verità. A giudicare dai colpi sferrati da una parte e dall’altra, per Roberto Gualtieri è cominciato in salita il percorso di allargamento del proprio bacino di consensi in vista del ballottaggio mentre le cose vanno leggermente meglio per il suo avversario. L’unica cosa certa è che le diserzioni alle urne saranno ancora più numerose. C’è da aspettarselo.
Incassata la convergenza di Matteo Renzi, l’ex ministro dell’economia del governo Conte mira a raccogliere attorno a sé i sostenitori dei due sconfitti ma non è detto che le cose vadano per il verso giusto.
È la formula del centrosinistra esteso a cui guarda anche in chiave più generale Enrico Letta, che tuttavia non sarà facile portare fino in fondo, proprio per i profondi attriti intestini. La confluenza dei due elettorati, considerata “naturale” dal Pd, trova ostacoli nelle frizioni al vertice dei partiti di riferimento. Infatti da un lato c’è il leader di Azione che sprona i democratici ad allontanarsi dai grillini e chiede, ottenendole, rassicurazioni sull’assenza dei 5 Stelle nella futura giunta romana di centrosinistra.
Dall’altro lato, invece, fa capolino il capo del Movimento Giuseppe Conte che, escludendo apparentamenti ai ballottaggi, non digerisce i veti posti nei confronti dei pentastellati e becca duramente il leader di Azione:“…Carlo Calenda sta facendo solo un suo percorso politico autoreferenziale – dice Conte – e poiché si affaccia adesso alla politica, ha una prospettiva diversa da quella di una forza nazionale quindi dettare condizioni agli altri mi sembra quantomeno arrogante…”.
La risposta di Calenda non si è fatta attendere: “…Giuseppe Conte ieri mi ha attaccato spiegando la sua magnifica storia di coerenza e serietà. Per essere chiari, considero Conte campione di qualunquismo e trasformismo. Non gli ho mai sentito fare un ragionamento interessante o affrontare una questione con competenza…”. Un botta e risposta che non spaventa nessuno. Chissà quanto rimarrà di questa farsa dopo l’elezione del nuovo sindaco.
In questo modo quello che succede è paradossale in quanto l’asse del confronto con i vincitori del primo turno amministrativo si sposta sulle dichiarazioni di entrambi i leader, di Azione e del M5s, invece di rimanere ancorata su un programma elettorale che potrebbe estendersi e rimodularsi per attrarre quegli elettori che con il loro voto non sono riusciti a fare entrare nel ballottaggio i propri candidati.
Al di là delle indicazioni che possono essere date, non si può pensare ad una fusione fredda che non sia giustificata da un allargamento del programma elettorale che incorpori quello del candidato sconfitto al primo turno. Hanno poca importanza gli assessorati, anche se i riflettori sono puntati proprio su questo, in quanto frutto avvelenato dell’antipolitica.
Così ogni candidato rimane arroccato alla visione del primo turno elettorale ed esclude, per non perdere i primi “compagni di merende”, ogni apparentamento con nuovi partner, come se fosse una cosa di cui vergognarsi.
In tal modo si aprono le strade solo per i tattiche e vendette da consumare con estrema freddezza. Può succedere di tutto. Anche che Virginia Raggi ed i suoi amici romani possano scegliere di brindare con Michetti e a Gualtieri “ciccia”. E la politica, bellezza…