Il termine deriva dalla fantascienza ma rappresenta forse il nostro futuro prossimo. Potrà essere esteso sia al mondo digitale che fisico, sia alle reti pubbliche che private, sia alle piattaforme aperte che chiuse. E non potremmo più farne a meno.
Da qualche settimana, dopo le dichiarazioni di Mark Zuckerberg di cambiare nome alla sua creatura Facebook, nel mare magnum dell’informazione non si fa che parlare del “metaverso“. Una nuova frontiera nell’evoluzione di internet: la sfida per assumere sembianze sempre più reali, ridimensionando il ruolo degli “schermi piatti” in favore delle “esperienze tridimensionali”.
Ma siamo ancora alla fase delle idee senza alcun esempio concreto. Potrebbe anche trattarsi di una boutade, ma intanto l’argomento ha innescato un certo dibattitto tra alcuni esperti di tecnologie.
Ad esempio Matthew Ball, analista molto considerato dalla stampa ed autore di studi sull’industria dei media, ha cercato di dare una definizione al concetto di metaverso. Non è semplice perché è difficoltoso comprendere modelli che sembrano dimorare nell’Iperuranio e non calati nella realtà. Questo succede perché spesso si è in grado di immaginare esperienze tecnologiche future in largo anticipo rispetto alle nostre esperienze del momento.
Non si conoscono quali peculiarità prevarranno su altre e nemmeno come si configurerà il mercato e chi lo governerà. Praticamente ci troviamo di fronte ad idee nella loro volatilità e purezza. Spesso le concezioni più comuni del metaverso si sono rifatte alla fantascienza.
Il termine, infatti, è stato coniato dall’autore di science fiction, Neal Stephenson in Snow Crash – romanzo di fantascienza post-cyberpunk pubblicato nel 1992, in cui viene descritto come una sorta di realtà virtuale condivisa tramite internet e in cui si è rappresentati in tre dimensioni attraverso il proprio “avatar“, ovvero un personaggio virtuale che rappresenta la persona reale.
Il cyberpunk viene definita come una corrente letteraria ed artistica nata nella prima metà degli anni ’80 nell’ambito della fantascienza, diventandone un sottogenere pessimistico e dispotico. Ad esempio si fa riferimento a film come Matrix e Ready Player One.
Qualunque cosa esso sia, secondo Ball, il metaverso sarà per tutti, nessuno potrà sfuggirgli. Potrà essere esteso sia al mondo digitale che fisico, sia alle reti pubbliche che private, sia alle piattaforme aperte che chiuse. Offrirà una interoperabilità senza precedenti di dati, risorse digitali e contenuti che non sarà fattibile senza un vero stravolgimento delle attuali regole e dinamiche dell’esperienza umana digitale.
Per come lo si immagina il metaverso sarà la porta di accesso alla maggior parte delle esperienze digitali, fisiche e la futura grande piattaforma di lavoro. Un ostacolo da superare, per permettere che miliardi di persone partecipano in sincronia ad una stessa esperienza è l’infrastruttura, che dovrà configurarsi come una piazza sociale. Ci troveremo tutti costantemente all’interno di una versione incorporata o virtuale o 3D di internet attuale.
In questo contesto ognuno di noi potrebbe usare un auricolare, invece che un computer, per essere catapultato in una realtà virtuale in collegamento con tutti i tipi di ambienti digitali. A differenza della realtà virtuale come la conosciamo oggi, ovvero quella che viene usata per i giochi, in questo mondo nuovo ci si potrà sbizzarrire in qualsiasi attività: lavoro, gioco, concerti, viaggi, cinema o semplicemente per uscire di casa e andare a spasso.
Se il mondo va in questa direzione, non è che possiamo tanto opporci. D’altronde se pensiamo a quello che è successo negli ultimi trent’anni nell’ambito della tecnologia informatica vengono i brividi. Una sola constatazione: in questo mondo che più virtuale non si può, si riuscirà ad alzare lo sguardo verso il cielo per ammirare l’alba, il tramonto o scrutare l’orizzonte? Riusciremo ancora a commuoverci? Cosa ne sarà delle relazioni umane? Ai posteri l’ardua sentenza.