In attesa degli esiti delle analisi scientifiche sul Dna diversi particolari farebbero pensare ad un’altra persona. Gli oggetti ritrovati accanto al cadavere e gli indumenti non sono stati riconosciuti dalla sorella del giornalista ucciso dalla mafia. Qualora il referto del materiale biologico fosse negativo rimane da scoprire a chi appartengono i resti ossei ritrovati nella grotta di Cassone.
Palermo – Sarà il Dna a stabilire se i resti umani ritrovati dentro una grotta lavica alle pendici dell’Etna sono o meno di Mauro De Mauro, il giornalista pugliese rapito dalla mafia il 16 settembre del 1970.
Le ossa recuperate dal Soccorso alpino della Guardia di Finanza nel settembre scorso, durante un’esercitazione in località Cassone, strada provinciale 92, nel territorio di Zafferana Etnea, ad una prima ricognizione autoptica, apparterrebbero ad un uomo di circa 40-50 anni, il cui decesso risalirebbe agli anni ’70.
Il cranio presenta cenni di frattura sul naso e malformazioni nella cavità buccale che potrebbero far pensare al giornalista ma altri elementi pare allontanino le speranze. A chiedere il test del Dna, dopo aver appreso la notizia diramata lo scorso 10 novembre, è stata la figlia del professionista, Franca De Mauro, che ha chiamato gli investigatori coordinati dalla Procura etnea, che poi ha disposto l’accertamento scientifico.
Sembra però che la donna non abbia riconosciuto gli oggetti che sono stati ritrovati accanto al cadavere: un pettine con foderino, un orologio meccanico marca Omega, un cappello di lana con pon-pon, pantaloni lunghi scuri, una camicia bianca a righe blu, cintura nera e scarponcini. Inoltre in una tasca dei calzoni gli inquirenti hanno ritrovato monete da 100 lire del 1977.
Accanto alla salma sarebbe stato scoperto anche un frammento del quotidiano La Sicilia in cui un necrologio riporta la data del 15 dicembre 1978. Se non fossero di Di Mauro quei poveri resti rimarrebbe l’incombenza di sapere a chi appartenevano e perché si trovassero proprio in quella grotta atteso che il cadavere non presenterebbe segni di violenza.
La scomparsa di De Mauro rappresenta una dei casi insoluti italiani più eclatanti. Tra le piste seguite dagli investigatori quella mafiosa rimane privilegiata. Il boss di Corleone, Totò Riina, era stato processato e poi prosciolto per l’omicidio del giornalista foggiano, sposato con due figlie. Il cronista si era trasferito nel capoluogo siciliano dove aveva iniziato a lavorare per il Tempo di Sicilia, Il Mattino di Sicilia e l’Ora, occupandosi nel 1962 della morte di Enrico Mattei.
Otto anni più tardi aveva riaperto il caso grazie a Francesco Rosi che gli aveva chiesto di scrivere la sceneggiatura del suo film sul presidente dell’Eni morto in un incidente aereo a cui nessuno aveva creduto. De Mauro si era occupato di mafia pubblicando sull’Ora un dossier di un medico affiliato a Cosa Nostra rivelando la struttura della “Cupola” e dell’organizzazione malavitosa.
Ma non erano solo i boss a volerlo morto. De Mauro aveva appena parcheggiato la sua Bmw davanti al portone di casa, in viale delle Magnolie, quando i sicari lo rapivano con un’azione fulminea studiata a tavolino e durata alcuni istanti. Sulla sua stessa auto, poi ritrovata a due chilometri da casa, i criminali lo avrebbero trasportato in un luogo sicuro dove sarebbe stato ucciso. Il suo corpo, sepolto in un nascondiglio sotto un ponte sul fiume Oreto, mesi dopo, sarebbe stato disseppellito e bruciato:
“…De Mauro era un cadavere che camminava – riferiva Tommaso Buscetta ai giudici Falcone e Borsellino 15 anni dopo la morte del giornalista – Cosa Nostra era stata costretta a perdonare il giornalista perché la sua morte avrebbe destato troppi sospetti, ma alla prima occasione utile avrebbe pagato anche per lo scoop del medico colluso. La sentenza di morte era solo stata temporaneamente sospesa…”.
I carabinieri ritenevano plausibile l’eliminazione di De Mauro da parte della mafia perché il giornalista aveva scoperchiato i segreti del traffico di droga. La polizia invece era convinta che De Mauro fosse stato ucciso per via del caso Mattei il cui aereo, scriveva De Mauro, era stato fatto esplodere.
Sul giornalista indagheranno il capitano dei carabinieri Giuseppe Russo, il colonnello Carlo Alberto Dalla Chiesa e il commissario di PS Boris Giuliano. Tutti e tre gli investigatori cadranno sotto i colpi di killer mafiosi. Totò Riina, forse, non c’entrava con De Mauro ma Stefano Bontade, Giuseppe Di Cristina e Tano Badalamenti sì. Tutti morti.