VIOLENZA DI GENERE: ENZA MIGNACCA SI RACCONTA A POP

La donna è tornata sotto il Vulcano dove troverà affetti e protezione. La sua una vicenda drammatica che ha superato con coraggio e determinazione per ricrearsi un futuro

Enza mi accoglie a casa sua durante una mattina fredda ma limpida. Da qui l’Etna domina la valle innevata e maestosa come sempre in questo periodo dell’anno.

Cosa ti ha fatto decidere di ritornare in Sicilia?

”…Non potrei mai staccarmi dalla mia terra. Soltanto qui mi sento protetta, anche se può sembrare una stranezza. Protetta anche da lei, dalla mia amata ‘muntagna’. Perciò sono tornata, anche se sapevo di rischiare molto…”.

Parla con gli occhi lucidi, come a voler far trasparire, attraverso lo sguardo, tutta la forza che le è occorsa per superare il dramma..

Enza è una consulente estetica e d’immagine. Da 9 anni la sua associazione Vanity’ si occupa di moda e spettacolo in Italia e all’estero. In questi anni ha ricevuto ben 60 riconoscimenti tra nazionali e internazionali. L’ultimo le è stato conferito nello scorso dicembre al Palazzo Borghese, Firenze. Negli anni i riconoscimenti sono arrivati anche da Malta, Parigi, Bruxelles, Amsterdam. Nel 2018 il più prestigioso e significativo per la sua carriera: al Premio europeo “Oscar della Moda’’ tenutosi a Milano le è stato assegnato un Premio speciale ‘’No violenza sulle Donne”, come rappresentante di tutte le donne che hanno subito violenza in Europa.

 Enza  è una donna simbolo che deve la vita al suo coraggio, alla sua determinazione, e, curioso a dirsi, forse ai fuochi d’artificio di un Capodanno di nove anni fa. Vittima sopravvissuta di una storia drammatica, fortunosamente non finita in tragedia per il suo istinto di sopravvivenza. Determinata e coraggiosa, forte come la terra in cui è nata, ha ‘scelto di vivere qui, nonostante l’umana paura che ancora oggi l’ex marito (denunciato ma a ‘piede libero’) possa farle del male.

Dopo essere stata trasferita più volte per precauzione insieme al figlio di pochi anni, per svariati mesi anche fuori dalla Sicilia, Enza è ritornata tra la sua gente, protetta dai familiari. Enza lavora e vive con i due amatissimi figli, nati dai suoi due matrimoni:

”… Il mio precedente matrimonio, diversamente dall’ultimo decisamente nefasto, è stato quasi una favola, tanto quanto sfortunato, perché si concluse dopo solo cinque anni, con la morte per malattia di mio marito. Rimasi vedova all’età di 25 anni, con un bambino piccolo da crescere. La vita per me era diventata di colpo un peso troppo grande. Non riuscivo ad accettare la morte di mio marito, e con un bambino piccolo da crescere ero sempre più scoraggiata. Perciò mi buttai a capofitto nel lavoro. Lavoravo dalla mattina alla sera, e mio figlio era accudito da mia madre… Un anno dopo, conobbi un uomo. Vedovo anche lui, aveva tre figli. Era molto premuroso e gentile e mi dava sicurezza in quanto più grande di me di 15 anni. Mi riempiva di attenzioni, sembrava proprio un angelo. Sul principio non volevo unirmi a nessuno, ma nei mesi successivi sentivo sempre più forte il bisogno di una famiglia mia; così un anno dopo abbiamo iniziato a convivere a casa sua, in una villa fuori paese. Sembrava che tutto andasse bene, all’inizio. Mi occupavo di lui, dei suoi figli, del mio avuto dal primo marito, e del fratello disabile che abitava con noi; ma lo facevo con la sensazione di fare del bene, serenamente, convinta di avere accanto tante persone che a loro volta me ne volevano… ma l’illusione durò poco… Qualche mese dopo, quell’angelo che avevo conosciuto, così gentile, premuroso, amorevole, divenne l’opposto. Iniziò col proibirmi di uscire: all’inizio con le parole, poi con le minacce e le percosse. Mi accorsi allora che aveva messo le telecamere in tutta la casa e, se volevo uscire, dovevo dirlo molti giorni prima, specificare per iscritto dove andavo, a che ora rientravo, e se ritardavo anche solo pochi minuti, le prendevo. Era morbosamente geloso anche dei fidanzati delle miei parenti, e naturalmente mi proibì di far venire amici in casa. Avevano accesso solo mio padre, mio fratello, mia sorella e mia mamma, nessun altro. Allora mi sottomisi perché ero molto impaurita dalle continue minacce di non farmi più vedere i miei. Rimasi incinta, e nacque nostro figlio. Man mano che passavano gli anni, però, mi rendevo conto che ero diventata sua succube, una schiava senza diritti. Potevo solo lavorare in casa da estetista, e dargli tutti i miei guadagni, pagare le bollette, e non chiedergli mai nulla, economicamente.

Per quanti anni è durata la tua prigionia?

”…Per ben 17 anni. Ero proprio terrorizzata, non riuscivo a confidarmi con i miei fratelli, anche perché sapevo che nella villa aveva un arsenale di armi, fucili e pistole, che teneva ben nascosti in una camera blindata scavata all’esterno, nella roccia. Spesso mi minacciava che se lo avessi lasciato avrebbe ucciso mio figlio maggiore, tutta la mia famiglia e me; perfino il gatto. Queste minacce mi facevano molta paura, perciò accettavo tutte le sue angherie e i maltrattamenti, specie quelli che mi riservava quando beveva, e succedeva spesso. Ma una volta, ero davvero psicologicamente provata, all’ennesima minaccia, disperata, gli dissi che volevo la separazione. Lì rischiai molto, mi minacciò, e mi disse che da quella casa sarei uscita solo in una bara. Così, la notte di capodanno del 2011, successe il peggio. Eravamo soli in casa, col bambino, che allora aveva cinque anni. Lui aveva  bevuto parecchio, ad un certo punto iniziò a sbattermi la testa al muro, facendomi uscire  sangue dal naso. Io cercavo di scappare, ma lui era troppo forte, per me. Poi mi mise le mani al collo. Provai a difendermi in tutti i modi, a respingerlo, scappare, ma lui aveva una forza quasi sovrumana, e mentre mi stringeva le mani al collo, dallo sforzo gli sanguinavano perfino le gengive. Persi allora conoscenza, e fu la mia salvezza. Pensò che non mi sarei più rialzata da terra. Ripresi invece conoscenza sentendo il bambino che gridava, e piangendo lo supplicava di non uccidermi. Pensai allora di restare immobile, mentre lui ripeteva che doveva assicurarsi che fossi morta. Uscì, andò in camera, e immaginai che stesse per prendere un’arma. Lì ebbi la lucidità di capire che poteva essere davvero la mia fine. Così con le ultime forze rimaste, sanguinante e dolorante, presi il bambino in braccio e corsi fuori. Fortunatamente, nello stesso istante iniziarono a sentirsi i fuochi d’artificio della mezzanotte. Fu la mia salvezza. Ancora più fortunata perché lui aveva dimenticato di chiudere il portone a chiave, così gli scoppi coprirono il rumore dello scatto del portone, prima, e poi del cancello. Pioveva fortissimo, c’era proprio un temporale. Iniziai a correre senza prendere fiato, terrorizzata, e ci rifugiammo in una villa lì vicino, dove la gente festeggiava. Chiesi aiuto, disperata. Da lì partirono i soccorsi. Mi portarono in ospedale, e denunciai tutto quanto era successo. Da lì ci trasferirono in tutta segretezza presso una ‘’Casa famiglia’’, a Catania, ma siamo dovuti andare via dopo pochi giorni, perché nonostante la denuncia che fu trascritta dai carabinieri in maniera errata, descrivendo l’accaduto come una semplice lite familiare, verso di lui non scattò nessun provvedimento serio; anzi, ingaggiò degli investigatori privati per scoprire dove fossi nascosta. Così una notte, dentro un furgone, ci trasferirono a Siracusa, presso un centro antiviolenza dove mi hanno dato protezione e assistenza, specialmente psicologica al bambino, che era rimasto molto scosso.  A Siracusa siamo rimastati per tre mesi. Un giorno però il commissario mi disse che purtroppo dovevamo andare via anche dalla Sicilia, perché lui mi cercava ancora, e importunava anche i miei parenti, pretendendo di sapere dove mi trovassi. La situazione si era fatta davvero pesante per tutti. Sono stata praticamente sotto sequestro. Da Siracusa ci hanno trasferiti ancora una volta, ma ad Otranto, dove mi hanno trovato un altro alloggio sicuro. Però dopo alcuni mesi, stavo sempre peggio, mi sentivo braccata. Un giorno mi decisi, chiamai il commissario e gli comunicai la mia decisione di tornare in Sicilia, che non potevo accettare un esilio da innocente e che trovavo ingiusto dover essere punita stando lontana dai miei, mentre lui rimaneva libero.Così sono ritornata e l’ho affrontato. Mi sono presentata a casa sua con l’avvocato e i carabinieri. Gli ho detto che se mi fosse successo qualcosa di brutto, avendolo denunciato, sarebbe stato subito accusato. Certo, ho rischiato, ma non potevo fare altro. Ho ripreso così, con molta determinazione, la mia vita in mano. Dopo un po’ ho anche fondato questa associazione dove da quasi 9 anni si tengono corsi di formazione di Make Up, e dove cerco di dare un futuro ad altre donne in difficoltà, in modo anonimo per chi non vuole esporsi. Diamo un’opportunità di lavoro, ed essere così indipendenti economicamente…’’

Enza ha sempre gli occhi lucidi ma la sua forza è più forte di quanto si potesse immaginare. Una storia simile a tante altre, questa, ma con una valenza in più, che è quella della tangibile solidarietà femminile. Una storia emblematica, per fortuna non sfociata in tragedia, che però deve far riflettere, dare coraggio alle donne affinché denuncino in tempo, alla prima minaccia pesante:”… Sembrava che tutto andasse bene all’inizio – ripete la donna – però è durato poco…’’.

Il male durò invece per troppi anni, quelli che sono serviti a lasciare tracce indelebili nella memoria dei bambini, oltretutto, e allora basterebbe ‘’solo’’ questo, per far sì che storie simili non si ripetano più.

Il 2019 è stato l’anno record dei femminicidi. Noi siamo qui a raccontarli perché ci auguriamo davvero che il 2020 segni un inizio di tendenza opposto, ognuno facendo la sua parte: politica, forze dell’ordine, famiglia, scuola, informazione.

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