I robot faranno incetta di centralinisti, portieri, addetti alle consegne, trasportatori ed in generale chi opera nella logistica, addetti all’imballaggio ed al confezionamento. Segue il settore dell’auto e, incredibilmente, contabili e commercialisti. L’automazione risparmierà idraulici, parrucchieri, sarti e fotografi. Si parla di milioni di posti di lavoro a rischio. Interverrà la politica?
Roma – L’automazione rischia di mettere sul lastrico milioni di lavoratori. Peggio della prima rivoluzione industriale, quel processo di sviluppo economico e di industrializzazione avvenuto nella seconda metà del ’700. La società da agricolo-artigianale si tramutò in un sistema industriale, la cui peculiarità fu l’utilizzo generalizzato di macchine meccaniche e di nuove fonti energetiche.
Questo nuovo sistema portò ad una crescita senza precedenti della produttività, ma che causò la repentina eliminazione di interi settori legati ai vecchi modi di produzione: piccoli proprietari, artigiani, lavoratori manuali, che furono ridotti all’emarginazione. Oggigiorno si assiste ad un processo simile.
L’automazione di molte attività lavorative potrebbe annientare tra i 4 e i 7 milioni di lavoratori. Non è il grido d’allarme lanciato da nuovi luddisti – il luddismo era un movimento che si opponeva all’introduzione delle macchine nel lavoro nel ‘700 – ma è il frutto di uno studio apparso sulla rivista Stato e Mercato, edita da Il Mulino, dall’eloquente titolo “Rischi di automazione delle occupazioni, una stima per l’Italia“.
La cifra oscillante tra i 4 ed i 7 milioni di lavoratori riguarda per lo più il genere maschile, in quanto le donne risultano occupate in settori dove le automazioni non sono ancora giunte ad un livello tale da poter sostituire le persone.
Ci riferiamo, ad esempio, all’insegnamento o all’assistenza agli anziani ed ai malati. Lo studio, effettuato da tre economisti Mariasole Bannò dell’università di Brescia, Sandro Trento ed Emilia Filippo dell’Università di Trento, ha utilizzato diversi indicatori.
Uno di questi, l’occupation based approach (approccio basato sull’occupazione), ha valutato quelle professioni che potrebbero essere automatizzate. Sarebbero a rischio il 33,2% dei lavoratori italiani, pari a oltre 7 milioni di lavoratori che si ritroverebbero in uno stato di indigenza.
Un altro indicatore, il task based approach (approccio basato sulle competenze), prende in esame le singole competenze e ha previsto un futuro meno fosco. La percentuale di lavoratori a rischio, infatti, scende al 18,1% che corrisponde a quasi 4 milioni di italiani. Un numero, comunque, di un certo rilievo.
I dati hanno illustrato una situazione allarmante, che risulta ancora più manifesta in Italia per i ritardi nell’introduzione di nuove tecnologie nel sistema produttivo; ritardi che all’estero sono stati attenuati dalla gradualità dei cambiamenti.
Un altro fattore è costituito dalla struttura socio-economica italiana, caratterizzata da medie e piccole aziende, più lente nell’innovazione tecnologica. Altre cause, secondo gli studiosi, scaturiscono da vincoli normativi e dalle leggi che regolano il mercato del lavoro.
Lo studio, inoltre, ha preso in esame 800 professioni. Le più sicure della scomparsa sono quelle che non necessitano di percezione, manipolazione, intelligenza creativa e sociale. Vittime dell’automazione potrebbero essere centralinisti e portieri, addetti alle consegne, trasportatori ed in generale chi opera nella logistica, addetti all’imballaggio ed al confezionamento.
Oltre al settore dell’automobile. Ma anche professioni impensabili, come contabili e commercialisti. Mentre nella grande distribuzione le casse automatiche hanno già sostituito i cassieri. I settori immuni al tornado dell’automazione sono il management, la finanza, il settore legale, l’istruzione, l’assistenza sanitaria e l’arte.
Per questi lavori sono richiesti alti livelli di istruzione e qualità come il sapere fare gruppo, la sensibilità, la creatività e l’adattamento. Tutti parametri che al momento un robot non è in grado di riprodurre. Poi, strano ma vero, alcuni mestieri riusciranno a sopravvivere, quelli per i quali servono pochi anni di istruzione o di formazione. Ci riferiamo a idraulici, parrucchieri, sarti e fotografi.
Questo scenario probabile avrebbe bisogno di una possibile politica di riduzione dei danni che, inevitabilmente, subisce ogni vittima di qualunque sconvolgimento epocale, come quello in atto. C’è una classe politica degna di un progetto del genere? All’orizzonte, di fuoriclasse non se ne scorge nemmeno l’ombra, purtroppo.
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