L’omicidio di Chiara Poggi è forse uno dei casi giudiziari più controversi degli ultimi anni. Alberto Stasi è stato riconosciuto come l’unico colpevole del delitto. Ma è stato proprio cosi? Le indagini sono state esperite cosi bene da giungere a prove schiaccianti contro il commercialista? Che cosa non convince dei gravi indizi di colpevolezza? Le reiterate richieste di revisione del processo da parte di Stasi, condannato a 16 anni di reclusione, sono state sempre rigettate.
Correva l’anno 2010. Le cronache abbondavano di particolari inerenti l’omicidio di Chiara Poggi avvenuto tre anni prima a Garlasco. Lo spunto a studiare il caso mi fu dato da un’intervista di Alberto Stasi, presunto omicida, rilasciata ad una importante emittente televisiva.
Grosso modo gli attori sono: le scarpe di Stasi, poiché pulite, il suo computer, per i tempi di accensione e messa in stand.by, i filmati di natura porno salvati sul pc ed il mezzo di trasporto con cui l’omicida si sarebbe recato a casa della Poggi, una bicicletta presumibilmente da donna, nera, che una serie di testimoni aveva notato.
C’era dunque una bici appoggiata al muro di cinta in prossimità del portoncino della casa dei Poggi? Pare di sì ed era forse la stessa bici, con in sella una ragazza bionda che era stata vista transitare da un ulteriore testimone oculare? O erano due circostanze distinte?
Sta di fatto che nell’immediatezza del delitto una testimone, Franca Bermani, in sede di sommarie informazioni, descrisse la bicicletta pressappoco così: “…era di colore nero, aveva una sella alta con molleggio cromato, aveva un portapacchi posteriore, aveva un telaio di tipo curvilineo…”. In udienza aggiunse che la bicicletta era dotata di “paragonne”.
Un’altra testimone
,Manuela Travain, pochi giorni dopo il fatto rese una testimonianza ai carabinieri dal seguente tenore: “…sono sicura che, passando davanti alla casa dei Poggi verso le 9.30, notavo il cancellino pedonale aperto e una bicicletta nera da donna davanti all’ingresso. Una bici ben curata, con i cestini…”.
A queste due testimonianze si aggiunse quella di un tecnico dell’ASM di Vigevano, Marco Demontis Muschitta, il quale fornì la descrizione piuttosto particolareggiata di una giovane che, in sella ad una bicicletta nera, era transitata indicativamente nella stessa ora del delitto. Era una ragazza bionda con taglio a caschetto, portava occhiali da sole e scarpe bianche con una stella blu.
Una incongruenza della testimonianza riguarda gli abiti che pare non abbia saputo descrivere, mentre le scarpe sì. Demotis ricordava che la donna stava leggermente ondeggiando mentre si allontanava poiché una sorta di piedistallo da camino che teneva in mano le impediva una guida precisa. Per inciso un piedistallo da camino (o un bastone?) è un ottimo corpo contundente e forse ne potrebbe avere anche in questa vicenda, poiché a un certo punto si è parlato di una stampella.
Quello relativo alla bici nera della biondina è un filone d’indagine che si interruppe praticamente agli esordi, poiché il Demontis si sfilò dalla sua stessa testimonianza. Per completezza ricordo che si parlò anche di un amico dei Poggi, un ragazzotto dai capelli lunghi il quale usava con una certa frequenza la bicicletta per spostarsi.
Stando ai fatti, invece della bicicletta nera da donna degli Stasi, era stata posta sotto sequestro la bici da uomo, bordeaux, di Alberto, sui cui pedali, vado sempre a memoria, gli inquirenti avrebbero trovato tracce del DNA di Chiara. La domanda che mi posi allora fu la seguente: le due testimoni oculari ed in specie la Bermani possono aver confuso la bici da uomo di Stasi con una comune bici da donna?
Trovandomi per varie faccende a Garlasco fotografai la casa dei Poggi. Tornato a casa assemblai la fotografia scattata a Garlasco e la foto della bici di Stasi, scaricata da internet. Mi ritrovai l’immagine che vi propongo.
Mostrai quest’immagine con “indifferenza” a 25 studenti, per riprodurre, simulandolo, il contenuto delle deposizioni delle due testimoni sopra citate. Il risultato fu che 23 studenti la definirono bici da donna scuro/nera, 2 intuirono che fosse da uomo per una serie di ragioni che non sto qui a illustrare.
I particolari che portano gli studenti a considerarla bici da donna fu il telaio curvilineo e la presenza del paragonne. E’ un’opinione che nasce considerando “parti per il tutto”, similmente a quanto accade ogniqualvolta vediamo la porzione di un oggetto. Solo un ingrandimento permette infatti di individuare con certezza la “canna” della bicicletta.
Va ricordato in proposito che negli anni ’60 del secolo scorso, quand’era giovane la Bermani, erano di moda proprio le biciclette da donna con il telaio curvilineo e la stragrande maggioranza delle donne non usava i pantaloni, cosicché tutte le biciclette da donna montavano il paragonne, mentre per quelle da uomo non c’era necessità.
A distanza di sette anni dal delitto vi fu un colpo di scena. Per coniugare le testimonianze e la presenza di DNA di Chiara Poggi sul pedale della bicicletta da uomo rinvenuto dagli inquirenti, venne ipotizzato che Alberto Stasi avesse utilizzato la bicicletta nera per recarsi da Chiara e, nella quasi immediatezza, sapendo che una testimone aveva identificato una bicicletta da donna nera, avrebbe pensato bene di scambiare i pedali tra le due bici convinto che gli inquirenti avrebbero sequestrato proprio quella nera da donna e non la sua bordeaux.
Si tratta di una ipotesi verosimile ma complicata e, a mio parere, non perfettamente centrata sulla psicologia di Alberto Stasi, così come era stata ricostruita dalle indagini che avevano portato alla sua incriminazione. Secondo quanto era emerso nel corso delle indagini, dopo l’omicidio, Stasi avrebbe – vado ancora a memoria:
- eliminato il corpo contundente usato per il delitto;
- eliminato le scarpe indossate nella circostanza;
- ripulito tutto al meglio riguardo alla sua persona;
- camminato sulla scena del crimine attento a non imbrattarsi – quando sarebbe stato logico il contrario, ovvero imbrattarsi di proposito in presenza di testimoni per mascherare eventuali residui di sangue sulla sua persona – ecc. .
Perché, allora, tenersi un paio di pedali e non buttare anche quelli? Con la stessa logica con cui si sarebbe disfatto con meticolosità di tutte le possibili prove a suo carico, avrebbe potuto recarsi da un qualunque negoziante di biciclette o in qualche “Brico” e comprarsi un paio di pedali nuovi. Con 10 euro sarebbe passata la paura.
Perché si cercano soluzioni solo verosimili, forse improbabili? Ciò avviene perché c’è la tendenza, quasi connaturata, a comporre i puzzle prima di aver raccolto il maggior numero di informazioni possibile, per l’abitudine di raccogliere principalmente le sole informazioni utili a sostenere il proprio pre-giudizio, per l’abitudine a seguire il proprio “modo di ragionare” che è sostanzialmente il frutto della propria esperienza (o inesperienza).
C’è una sorta di automatismo sintetizzabile come segue: “…Al suo posto, avrei fatto così…”. Il che è come dire che difficilmente ci sono mai due identiche interpretazioni dello stesso evento, in specie se si opera su indizi. In proposito mi riallaccio all’effetto specchio.
Poniamoci ora una domanda: e se le tre testimonianze sopra citate fossero invece tutte perfettamente concordanti? A priori gli inquirenti non lo potevano sapere… Si sarebbe dovuto in ogni caso allargare le indagini prima di concentrarsi su Alberto.
Si sarebbe dovuto tenere sempre nel carniere delle “fonti” la proprietaria della bici nera, con cestini, e studiarne profondamente storia e profilo. C’è veramente una stampella nel passato della biondina? (n.d.r. Una supposizione – ipotizzarono gli investigatori) E sul ragazzotto?
Beh, come sia andata la vicenda processuale nel suo insieme non interessa in questa sede. Mi premeva proporre un esempio di come le testimonianze presentino sfaccettature complesse e immaginate dunque come esse possano confondere gli organi inquirenti, l’accusa, la difesa e in ultimo gli organi giudicanti.
Sbaglierò, ma credo che le varie sentenze che hanno interessato Stasi, non poggino nemmeno su indizi ma solo su presunti indizi ed anche l’interessantissimo studio biomeccanico assicurato dal Giudice Stefano Vitelli del Tribunale di Vigevano, autore della sentenza di I grado nei confronti di Stasi Alberto ha, nel corso delle successive vicende giudiziarie, preso una brutta piega perdendo di importanza.
Concludo: su internet c’è un po’ di tutto riguardo al caso Poggi-Stasi, pareri di opinionisti e criminologi ma anche quelle di tuttologi e tanto gossip. Ci sono anche le sentenze in formato pdf, dunque scaricabili. Provate a lavorarci su, inviate la vostra ricostruzione dei fatti, in scienza e coscienza ma senza pregiudizi, come fosse un puzzle, ricordando che nei puzzle non esistono tasselli più importanti di altri, solo alcuni sono più facili da trattare, più immediati, quelli sui bordi. Un’avvertenza: studiate bene anche la tempistica.
Infatti si legge in rete: “…Chiara è morta fra le 9 e le 10 del mattino, nelle prime fasi dell’intera vicenda per l’accusa la morte si collocherebbe fra le 11 e le 11.30…“; si legge anche “…Il giorno della morte di Chiara, Stasi ha lavorato alla tesi di laurea dalle 9.36 alle 10.17 e successivamente (qui non sono precisi) fino alle 12.20, quando il dispositivo venne messo in stand-by…“; un PM pare abbia affermato che “…le evidenze ci dicono che la morte è avvenuta prima (ndr. tra le 9.12 e 9.35) o dopo le 12.20 e con più probabilità nella seconda parte della mattinata…“; la pubblica accusa avrebbe anche ipotizzato che “…Chiara possa essere stata uccisa dopo le 12.40...”. L’ultima versione è che sarebbe stata uccisa tra le 9.12 e le 9.35 circa.
In una delle prossime puntate proveremo a mettere insieme le vostre intuizioni.
…continua…