Troppe le nazioni appartenenti all’UE dove si consumano crimini contro i giornalisti. Italia compresa. Occorre una maggiore sensibilità e mezzi di protezione concreti durante l’esercizio professionale in zone e ambienti critici. Colpire cronisti e cineoperatori è la più indegna delle manifestazioni di violenza gratuita. E un duro assalto alla democrazia, al pluralismo e alla libera informazione.
La nostra cara vecchia Europa si è autoproclamata nel corso dei millenni culla della Civiltà e del Diritto e per lungo tempo è stata talmente convinta di questa sua peculiarità che è stata vittima di un virus particolare, non del tutto debellato: l’eurocentrismo. Per la cronaca si tratta di una sorta di etnocentrismo, per cui viene enfatizzato, più o meno consciamente, il ruolo storico-culturale dell’Europa e, in generale, della cultura occidentale rispetto alle altre. Ora cosa è capitato in questa atavica culla della Civiltà?
E’ successo che nel 2020 sono stati registrati circa 900 attacchi violenti contro i giornalisti e, quindi, contro la libertà di stampa. Si tratta di lesioni, insulti, molestie sia online che offline, fino alla distruzione di attrezzature e automobili. La Commissione Europea ha invitato gli Stati membri alla tolleranza zero contro questi atti di violenza dunque ad “…attuare una politica più efficace contro questi episodi…”. Lo ha dichiarato la vice presidente della Commissione Věra Jourová in una conferenza stampa, in cui è stato diffuso un testo di raccomandazioni.
Negli ultimi trent’anni ben 23 operatori dell’informazione sono stati uccisi e la gran parte negli ultimi sei anni. Essere uccisi mentre si svolge il proprio lavoro è un atto di una gravità inaudita, a maggior ragione se capita in Stati che predicano la democrazia.
La Commissione Europea ha invitato gli Stati che ne fanno parte ad utilizzare la legislazione nazionale e comunitaria esistente. Inoltre bisogna coinvolgere maggiormente le Autorità continentali competenti in materia, Europol ed Eurojust. Ma è fondamentale il libero accesso alle informazioni senza subire discriminazioni ed ai documenti in mano alla pubblica Autorità.
Dei numerosi attacchi subiti, un incidente su tre si registra durante azioni di protesta, tant’è che le manifestazioni risultano essere il luogo dove è più alta la probabilità di venire aggrediti. Questo succede in quanto, durante questi cortei non sempre pacifici, non sono garantiti a tutti gli operatori dell’informazione, condizioni di sicurezza e assenza di restrizioni.
Si parla di prendere misure ad hoc, come la nomina di ufficiali di collegamento, che forniscano ai giornalisti informazioni in anticipo sui possibili pericoli. I timori più rilevanti avvertiti dai giornalisti e da chi opera nell’informazione sono rappresentati dalla sicurezza digitale.
Questi sono cresciuti per l’incitamento online all’odio ed alla violenza. Ma altrettanti rischi si sono palesati per la sorveglianza illegale. E’ necessaria, quindi, per arginare il fenomeno, la cooperazione tra piattaforme online e organizzazioni competenti ed esperte nell’affrontare fatti minacciosi.
Modus operandi intimidazioni online
I più soggetti a minacce ed attacchi di vario genere sono giornalisti e giornaliste di gruppi minoritari. In particolare le croniste che hanno subito più intimidazioni rispetto ai colleghi maschi. Di queste, addirittura, il 73% ha dichiarato di aver subito esplicita violenza online durante il proprio lavoro.
La Commissione Europea sollecita, dunque, gli Stati nazionali a promuovere iniziative a favore dell’emancipazione delle donne anche nel settore dei media, con particolare riguardo a chi appartiene alle minoranze. Inoltre promuovere l’uguaglianza e l’inclusione nelle redazioni e nell’industria dei mass media nel suo complesso.
La Commissione si è detta pronta a sostenere gli Stati sia dal punto di vista tecnico che finanziario per attuare gli intendimenti succitati, investendo 75 milioni del programma “Creative Europe“. Quest’ultimo è un programma dell’Unione Europea di 1,46 miliardi di euro per i settori culturali e creativi.
Restiamo in fiduciosa attesa di atti concreti, anche se le perplessità sono numerose, in quanto è da decenni, ormai, che assistiamo all’enunciazione di buone intenzioni, sia in campo nazionale che comunitario. Come sempre, sono tanti bla, bla, bla. E’ ora di passare ai fatti. Se vogliamo davvero il pluralismo e l’indipendenza dell’informazione.