Insomma non si sa bene se sul traguardo delle emissioni zero si fa riferimento alla data del 2050 o di metà secolo. Nemmeno è finito il G20 e già la Cina aumenta la produzione di carbone di un milione di tonnellate al giorno. Ma Pechino a che gioco sta giocando? Siamo davvero distanti da un patto vero e proprio. Solo promesse, in sintesi.
Roma – Ora lo faranno passare per un grande accordo sul clima, quello firmato al G20 conclusosi a Roma nello scorso fine settimana. Nella bozza di dichiarazione conclusiva è stato spostato l’obiettivo della temperatura media globale da 2 a 1,5 gradi al di sopra dei livelli preindustriali. La stampa mainstream ha esultato con titoli roboanti e trionfalistici per il risultato raggiunto, perché le previsioni erano catastrofiche.
Ma si tratta, in realtà di un‘intesa di piccolo cabotaggio, in quanto gli accordi di Parigi sono stati di fatto disattesi e non si vede perché gli stessi protagonisti di allora debbano rispettare quelli odierni! Giusto per gli smemorati l’accordo di Parigi del 2015 stabiliva un quadro globale per evitare pericolosi cambiamenti climatici, limitando il riscaldamento globale ben al di sotto dei 2°C e proseguendo con gli sforzi per limitarlo a 1,5°C.
Inoltre eccolo il grande accordo: sul traguardo delle emissioni zero si fa riferimento a un generico metà secolo e non 2050, come desideravano alcuni Paesi. Ora se ci facessero comprendere la differenza tra indicare la locuzione: metà secolo e non 2050 saremo loro grati. Dov’è la trappola?
E’ da tenere presente che al vertice non si sono presentati Cina e India, due tra i maggiori Paesi al modo produttori di gas serra. Non si tratta di piccoli Stati, ma di grandi nazioni dal punto di vista geografico e della popolazione. Entro fine anno è stato deciso lo stop ai finanziamenti di nuove centrali a carbone.
Ai Paesi in via di sviluppo è stato confermato un fondo da 100 miliardi per il loro sostegno economico. Da sottolineare l’intesa sui dazi tra L’Unione Europea e gli Stati Uniti su acciaio e alluminio, confermando il rafforzamento del legame transatlantico ed il progressivo superamento del protezionismo degli anni scorsi.
Il summit è stato presieduto dal nostro Presidente del Consiglio Mario Draghi. Ha avuto tre pilastri al centro del dibattito: Persone, Pianeta e Prosperità. Il primo ha riguardato tutti i temi sociali e gli effetti del Coronavirus sugli individui, le disparità e l’accesso al lavoro e all’istruzione con particolare attenzione alle fasce più deboli della popolazione, donne, giovani e precari.
Al centro del dibattito anche la disponibilità di vaccino contro il Covid per i Paesi del Terzo Mondo, dove, purtroppo, sono ancora basse le percentuali dei vaccinati, così come la redistribuzione dei preparati e dei medicinali dell’Occidente.
Il G20 ha manifestato una forte volontà di risolvere la tremenda crisi economica scaturita dalla pandemia. La ripresa a “chiazze di leopardo” è dipesa dalle risposte dei singoli Paesi che hanno intrapreso strade diverse per ottimizzare gli aiuti per superare il periodo negativo per intere filiere economiche.
Al centro del vertice non poteva mancare un cenno all’Afghanistan ed ai rapporti diplomatici col nuovo governo dei talebani.
Merita la citazione l’approvazione della Global Minimum Tax, ovvero la tassazione globale minima, dopo che lo scorso luglio era stata votata da quasi tutti i Paesi dell’OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico).
Si tratta di un sistema di tassazione basato su due elementi: 1) le multinazionali più grandi saranno tassate anche nei Paesi dove operano e non solo dove hanno la residenza fiscale; 2) il secondo introduce una tassa minima del 15% che i Paesi possono imporre alle multinazionali che operano al loro interno. L’obiettivo è di impedire che le grandi società internazionali si arricchiscano spostando la residenza fiscale in Paesi con una tassazione bassa.
Produrrà effetti positivi per le economie nazionali o gli Stati fra di loro continueranno a farsi la guerra, appoggiando questo o quel grande gruppo?
Più che di una Minimum Tax, lasciata alle decisioni di ogni singolo Paese, sarebbe necessaria una politica fiscale e salariale uguale per tutti i Paesi dell’Ue. Solo così potremo parlare di Unione Europea, se no Unione non è.