L’ex premier ritiene che i principali leader delle forze politiche italiane, M5s, Pd, Lega e FdI, abbiano l’interesse di andare a votare. Un interesse politico, in alcuni casi personale, perché qualcuno vuole portare in Parlamento prima possibile il suo gruppo di riferimento, è un dato di fatto oggettivo
Roma – Matteo Renzi, un nome, una garanzia. Il leader di Italia Viva alla “Leopolda” ha tracciato una linea, un confine, smarcandosi da un centrosinistra divenuto alleato del M5s e da un centrodestra sovranista. Una posizione che merita ascolto, non perché sia giusta o premonitrice piuttosto perché in questa legislatura è successo di tutto, anche l’imprevedibile. Certo è che viviamo di simpatie ed antipatie, c’è poco da fare. E Renzi non è empatico, tanto meno simpatico. Renzi è tutt’altro.
D’altronde è un dato di fatto che la “macchina del fango” è stata avviata da tempo sull’ex sindaco di Firenze e sul suo partito, per delegittimare il ruolo dell’ex Premier. Però c’è qualcosa che dovrebbe essere analizzato attentamente, nonostante la maggioranza degli italiani e dei partiti siano tutti per “Draghi forever”.
Nel nostro Paese il Parlamento ci ha consegnato prima ad un’ala sovranista e populista, con la creazione di un asse definito “giallo-verde” per il colore con cui si identificano i grillini ed i leghisti. Poi l’esatto contrario.
E che dire della sortita della Lega, in pieno clima ferragostano, che ha portato alla caduta del Governo? Inutile tentare di risalire alle motivazioni di tale scelta perché sono le più meschine e fantasiose. Resta il fatto che Salvini tentò di andare ad elezioni anticipate dopo circa un anno del Governo Conte.
Ma dalle ceneri del primo esecutivo ri-nacque il Governo Conte bis, definito giallo-rosso, tra M5s e Pd. In sostanza un’altra alleanza governativa senza alcuna convergenza programmatica ed ideale in comune. Renzi, in questo caso, si prodigò per evitare che si andasse a votare, per non consegnare il Paese ai sovranisti.
Poi la storia si fa più recente con Zingaretti segretario che voleva continuare l’esperienza di Governo con i grillini e dare vita al Conte ter. In quell’occasione Renzi aveva fatto dimettere i propri ministri. Aprendo, così, alla prospettiva di Draghi Premier.
Ma proprio con l’attuale Governo si sono svelate le contraddizioni nei partiti che compongono le due coalizioni opposte. L’impressione è che ognuno voglia semplicemente allargare il proprio centro gravitazionale, senza radici solide e durature. Insomma senza una nuova Legge elettorale non cambierà proprio nulla.
Comunque stiano le cose alla “Leopolda” è stata formalizzata la proposta politica di un raggruppamento riformista di centro liberal-democratico, che sia autonomo sia dalla costituenda coalizione Pd-M5s-Leu sia dalla “destra-centro” a guida Salvini e Meloni.
Il “nuovo Ulivo” di Letta scricchiola, mentre il centrodestra nonostante tutte le crepe e contraddizioni potrebbe vincere le elezioni. E’ bene ricordare, infatti, che con il 40% dei voti e la vittoria nel 70% dei collegi uninominali, si conquista la maggioranza assoluta del Parlamento. Assenteismo permettendo.
Alla luce di quanto accaduto in questa legislatura che senso ha mantenere ancora le attuali, preistoriche, coalizioni che sono andate in ordine sparso e peraltro divise tra Governo ed opposizione? Adesso è il momento del coraggio.