Ne sono colpiti più gli autonomi che i lavoratori dipendenti. Dunque non siamo messi affatto bene e lo certifica l’Eurostat e non l’uomo della strada. Il fenomeno della povertà lavorativa è più diffuso in Italia che nel resto d’Europa e non è un problema recente, perché è in continua crescita da più di un decennio. Il Governo dovrebbe provi rimedio ma campa cavallo.
Roma – Una volta, quando si lavorava, il salario bastava più o meno a sfamare sé stessi e la propria famiglia. Oggi anche quando si percepisce un reddito ci si ritrova sulla soglia di povertà. Non sono le solite lamentele da mercato rionale ma sono i numeri che ci fornisce l’Eurostat, l’ufficio europeo di statistica. E sono dati da allarme rosso.
Infatti il fenomeno della povertà lavorativa è più diffuso in Italia che nel resto d’Europa, rispettivamente l’11,8% e il 9,2%. Tuttavia non è un problema recente, perché è in continua crescita da più di un decennio.
Molto probabilmente la pandemia lo ha inasprito, rendendo ancora più fragili i lavoratori con contratti atipici e riducendo il reddito disponibile di chi ha potuto percepire qualche ammortizzatore sociale o misure d’emergenza messe in atto per far fronte alla recessione scaturita dalla pandemia.
Queste belle notizie, tanto per rallegrarci la giornata, sono il frutto della Relazione del Gruppo di lavoro sugli: “Interventi e misure di contrasto alla povertà lavorativa“, coordinato dal Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, Andrea Orlando.
La povertà lavorativa è cresciuta in Italia per una serie di motivi tra cui: salari stagnanti, carriere instabili, aumento vertiginoso del tempo parziale non per scelta, ma per costrizione, aumento dei lavoretti a basso valore aggiunto. A questa situazione ha contribuito un cambiamento della struttura economica italiana, con un peso sempre maggiore dei servizi.
In questo settore, infatti, abbiamo assistito ad uno spezzettamento del lavoro in brevi fasce orarie e, in alcuni casi, delegando società esterne per il minimo di ore possibili. I più soggetti alla povertà lavorativa sono i lavoratori autonomi rispetto a chi ha un contratto da dipendente o da stagionale.
Poi anche i lavoratori a tempo parziale e quelli con famiglie monoreddito sono tra le prede più prelibate del fenomeno negativo. A questo tipo di povertà si deve aggiungere il gender pay gap, ovvero il divario retributivo di genere, pari al 16,5% fra gli uomini e al 27,8% fra le donne. Inoltre l’intervento dello Stato con la fiscalità redistributiva avvantaggia solo i lavoratori dipendenti.
Ovviamente la continuità lavorativa durante l’anno è molto importante perché il rischio di bassi salari è strettamente correlato al numero dei mesi lavorati. Il gruppo di lavoro oltre a rallegrarci con questi dati ha proposto una serie di scenari per ridurre gli squilibri.
Innanzitutto elargire salari minimi adeguati e potenziare la vigilanza documentale basata sui dati che le imprese e i lavoratori comunicano alle Amministrazioni Pubbliche. E’ necessaria poi l’introduzione dei in-work benefit che possano aiutare il lavoratore in difficoltà congiunturale cosi da diventare un incentivo per il lavoro regolare.
Si tratta di benefici lavorativi che rappresentano un compenso non monetario, erogati in servizi o in beni, come ad esempio, buoni pasto o corsi di aggiornamento online.
Inoltre occorre incentivare il rispetto delle norme da parte delle aziende, facendo crescere la consapevolezza anche dei lavoratori. Infine gli autori hanno specificato che le proposte fatte devono essere considerate nel complesso perché singolarmente, cioè ognuna staccata dalle altre, perdono efficacia.
In questo modo tutte insieme si completano e acquisiscono maggiore forza realizzativa, e possono essere efficaci nel contrasto del fenomeno. Soprattutto perché ogni proposta isolata dalle altre rischia di essere inefficace o, addirittura, dannosa.
Come, ad esempio, elargire un salario minimo senza adeguati e stringenti controlli dimostra l’inefficacia dell’intervento. Già lo abbiamo verificato col reddito di cittadinanza, spesso percepito da chi non ne aveva alcun diritto, proprio per mancanza di controlli. Oppure la proposta si può rivelare dannosa quando i benefit lavorativi vengono dati senza minimi salariali adeguati e rispettati.
A proposito di complessità, per attuare una politica siffatta l’azione del Governo avrebbe bisogno di chiarezza e trasparenza degli obiettivi da raggiungere. Ma con una maggioranza così eterogenea, com’è quella del Governo Draghi, non si possono che avere decisioni sfilacciate, ognuna per sé, tanto per accontentare ora l’una ora l’altra componente della variopinta coalizione. E a noi tocca subire e soffrire.