Ancora oggi qualche dubbio permane sulle origini del sacro vincolo da alcuni impenitenti considerato la fine di tutto, da altri più entusiasti l'inizio di una nuova vita. Per gli antichi romani era un dovere da cui trarre solo vantaggi d'ordine economico e sociale. Oggi la situazione volge al peggio, volendo considerare l'enorme numero di separazioni e divorzi..
Ah, il matrimonio… L’unione sacra di due anime gemelle! Il coronamento di un sogno d’amore! Una promessa per la vita… o per qualcuno, molto più pessimista o scapolo impenitente, una tomba per la passione. Ebbene ciò che il matrimonio ha la pretesa di essere oggi non è ciò per cui è stato istituito agli albori della civiltà. Il desiderio, il sentimento, la volontà da parte di entrambi i coniugi di costruire una vita assieme sotto la bandiera dell’amore c’entrano ben poco con l’utilità economico-sociale intrinseca che quel contratto originariamente voleva rappresentare. In sintesi il matrimonio è un atto giuridico, di norma celebrato attraverso una cerimonia pubblica, detta nozze, che sancisce l’unione fisica, morale e legale fra due persone a fini civili, religiosi o ad entrambi, dando inizio a una nuova famiglia e che comporta una serie di diritti e obblighi tra i contraenti e nei confronti dell’eventuale prole.
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Non si può dire che siano le parole più romantiche con cui descriverlo, ma di fatto queste sono le strutture, le travi, le fondamenta di un’unione che, oggigiorno, può essere riempita, decorata e resa desiderabile e splendida dall’amore di due persone che decidono di fare il grande passo e di unire le proprie vite “finché morte non le separi”, si spera. Ma non è sempre stata una questione di sentimenti, anzi… Alleanze tra famiglie per la crescita del potere economico, politico e sociale erano la base delle unioni combinate e poco felici in cui i diretti interessati, i giovani sposini, erano alla stregua di marionette mosse dai padri di famiglia. Ovviamente e per fortuna non sempre andava male, anche se tardivo l’amore poteva comunque sbocciare tra un uomo e una donna nell’intimità del talamo nuziale.
L’argomento è così vasto che ho deciso di concentrarmi solo su una piccola fetta di storia che ci riporta al mondo romano e alle sue tradizioni. I Romani non si sposavano per amore: il matrimonio era essenzialmente un dovere con lo scopo di procreare e fornire lo Stato di linfa nuova. Eros, sesso e passione non erano contemplati in questo contratto, anzi qualsiasi effusione tra moglie e marito era considerata sconveniente. Come scrisse lo scrittore greco Plutarco, il senatore Gaio Manilio fu espulso dal Senato per essere stato visto baciare la moglie in pieno giorno e in presenza della figlia. Una vera indecenza! Voglie e piaceri potevano essere soddisfatti segretamente al di fuori delle mura domestiche!
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Quello romano è un mondo fatto di piccoli gesti simbolici, tradizioni, quasi superstizioni. Nel “felice” giorno delle nozze, dunque, la giovane sposa indossava la lunga candida tunica recta o regilla, simbolo di verginità, stretta in vita da una cintura di lana fermata dal nodus Herculeus, simbolo di fecondità, che solo il futuro marito avrebbe dovuto sciogliere durante la più o meno focosa prima notte. Il bianco non era il solo colore indossato dalla sposa che aveva il volto coperto dal flammeum, un sottile velo di una fiammeggiante tinta rosso-arancio, usanza, forse, derivata dalla moglie del sacerdote di Giove che copriva il capo con un velo color fiamma durante i sacrifici.
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Insomma la povera fanciulla romana non solo non poteva scegliere da chi essere impalmata, ma non aveva voce in capitolo nemmeno nella scelta dell’abito da sposa… Passi la volontà degli sposi, ma riti e tradizioni andavano assolutamente rispettati! E dopo feste, cerimonie e banchetti, giungeva l’ora di entrare nella nuova casa. Sarebbe stato un vero guaio se la novella sposa avesse inciampato sulla soglia o l’avesse calpestata! La superstizione non andava sfidata ed ecco, dunque, che la fanciulla veniva sollevata da due giovani accompagnatori. Questo cavalleresco gesto, attraverso i secoli è giunto fino a noi: ancora oggi è usanza, infatti, che lo sposo prende in braccio la novella consorte al momento di varcare la porta della casa. Può una frase rituale diventare un simbolo di amore dolce e romantico?
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Il marito romano, prima di accogliere la consorte in casa, le chiedeva il suo nome e la donna rispondeva così: “ubi Caius ego Caia”, cioè “dove tu sei Caio io sono Caia” consapevole che stava unendo la sua vita e il suo destino a quelli dell’uomo che, quasi sempre, il padre aveva scelto per lei. Nonostante questa commovente parentesi adatta a rari casi se non a film in costume, solitamente non v’era nessun sentimento a legare i due sposi ma un comune senso del dovere. A conoscenza di ciò si può dire che viviamo in un’era fortunata per le relazioni. Con tutta la libertà di cui disponiamo oggi sta solamente a noi individui, donne e uomini, trovare il partner giusto, il momento adatto ed essere certi che il grande passo che stiamo facendo non sia una convenzione o una costrizione dettata dalla società, ma un gesto ragionato e desiderato affinché il legame funzioni e sia il più duraturo possibile.
“Ubi Caio ego Caia. Et ubi Caia ego Caio.”
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