La scena del Crimine: per capire con cognizione di causa. E per non farci ingannare dallo spettacolo – 12 –

Continua il nostro percorso sull’importanza degli algoritmi anche in relazione all’acquisizione di ulteriori elementi di prova o nuovi possibili indizi. Durante le attività investigative ogni particolare può generare intuizioni diverse. Sulla scena del crimine si debbono operare tutto un insieme di istruzioni che vengono impartite nelle scuole di polizia.

A maggior ragione anche il peso (o coefficiente) che si attribuisce alla presenza dei diversi DNA sulla scena del crimine, incide sul responso che l’algoritmo potrà fornire. Questo responso, a sua volta, genera interpretazioni che possono ulteriormente indirizzare o distorcere una sentenza, oppure, indirizzare verso obbiettivi “predefiniti” nuove indagini ai fini dell’acquisizione di ulteriori elementi di prova (o nuovi possibili indizi).

Anche il congelamento della scena del crimine e la raccolta degli indizi da parte degli organi investigativi sono a loro volta formalizzati attraverso insiemi di istruzioni che sono insegnate nelle scuole di polizia. Essi danno luogo a procedure rigide e a comportamenti standardizzati agli algoritmi.

Prendiamo il caso dell’algoritmo di matrice biostatistica sotteso al già citato programma LRmix-Studio in uso ai RIS di Parma, utilizzato per il calcolo del rapporto di verosimiglianza (LR) tra DNA noti e ipoteticamente ignoti – in un’apparente rapporto tra ipotesi accusatorie e difensive, attraverso quella che si chiama distribuzione di probabilità.

Traggo spunto da un caso realmente accaduto che ho raccontato usando il parallelismo con un ipotetico caso ove del forte vento aveva smosso una tegola che a sua volta aveva colpito una donna che innaffiava i fiori (vedi articolo La scena del crimine del 22-07-21 ).

Gli attori dell’ipotetica vicenda erano: A) una donna, deceduta; B) il di lei marito; C) una tegola; D) un martello. Gli organi di polizia sigillarono il martello, ove sicuramente si trovavano le tracce di DNA di marito e moglie; gli stessi agenti raccolsero campioni biologici della donna (A) e un tampone salivare dell’uomo (B) poi rinviato a giudizio. Tutto il materiale era stato spedito ai RIS di Parma.

Il materiale biologico di A, B e D veniva processato e voilà si otteneva il Rapporto di Verosimiglianza (LR). E siccome un martello può essere passato in mano (ovvero non solo il DNA di due contributori (A+B), nel documento dei RIS si dovrebbe leggere la seguente relazione:

“…Al fine di poter fornire un’esatta percezione del valore e/o del “peso” della compatibilità osservata al profilo genotipico misto sopra citato, è stato applicato il calcolo biostatistico del rapporto di verosimiglianza (LR), avvalendosi del programma LRmix-Studio e delle frequenze di popolazione pubblicate sul sito del National Institute of Science and Technology. Il calcolo di LR è stato applicato a tutti i profili, per 22 marcatori autosomici, presupponendo che gli stessi siano stati generati: tre contributori – per il prelievo D (martello), soppesando le due ipotesi mutualmente esclusive di seguito descritte: un’ipotesi accusatoria, ovvero che i “contributors” in parola siano soggetto A, soggetto B e un soggetto qualsiasi nella popolazione di riferimento contro un’ipotesi difensiva, ovvero che i “contributors” in parola siano soggetto A e due soggetti qualsiasi presi a caso nella popolazione di riferimento. Il software LRmix permette di poter calcolare l’LR in modo semicontinuo attraverso una distribuzione di probabilità, per entrambe le ipotesi, al variare della probabilità di drop out, tenendo in considerazione sia il valore di theta (uguale a 0,01) sia un valore di drop in (considerato di 0,05)...”.

Il valore di LR, che è un numero, avrebbe dovuto essere tradotto in un linguaggio verbale tramite una tabella di conversione, ancora asettica:

Invece si ha che essa è corroborata da alcune annotazioni aggiuntive e diventa, in italiano:

Il dato numerico si è trasformato in espressione verbale che indica omicidio, poiché sostiene il rinvio a giudizio del soggetto B. E siccome la prova del DNA è definita prova regina, la difesa dell’imputato è costretta a denunciare l’inattendibilità del risultato, non tanto relativamente al valore numerico, quanto alla sua trasformazione in linguaggio verbale che entra prepotentemente nell’aula di giustizia e condiziona la Corte.

Va sottolineato che l’algoritmo avrebbe dato lo stesso risultato numerico anche se A e B fossero entrambi vivi e fossero stati prelevati fluidi biologici dalle lenzuola dei due coniugi o da un bicchiere che gli stessi avevano condiviso. Ma noi sappiamo che alla base di tutto ciò c’è, nella nostra narrazione, una tegola imprevedibile.

In conclusione l’algoritmo può essere uno strumento utile se ben condizionato, ma a patto che inquirenti e giudicanti non si appiattiscano sulle sue indicazioni ma ne inseriscano i risultati in un ragionamento più ampio e complessivo.

– continua –

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