Il caldo distrugge i raccolti. Si fa ancora troppo poco per la nostra agricoltura

E mentre la legge sul consumo del Suolo giace in Parlamento da dieci anni senza che nessuno provi a farla approvare, la situazione diventa drammatica. Anzi da allarme rosso ma la politica insegue i sondaggi e non le priorità salvavita. E quando l’agricoltura marcia male sono a rischio la nostra salute e la natura, sempre più martoriata, che ci circonda.

Il caldo torrido di quest’ultimi giorni sta provocando effetti disastrosi non solo per gli incendi, che già bastano e avanzano, ma anche all’agricoltura. Infatti, associato alla penuria di precipitazioni, le alte temperature stanno mandando in malora la frutta e verdura nei campi. E’ a rischio un intero anno di lavoro per i tanti occupati nel settore.

Non è l’urlo di protesta di chi col calore di questi giorni può essere stato colpito da colpi di sole ma l’allarme lanciato dalla Coldiretti – la principale organizzazione degli imprenditori agricoli a livello nazionale ed europeo – sugli effetti delle elevate temperature su frutta e verdura. L’ondata di calore in corso sta provocando anche forte stress agli animali nelle stalle, con forte calo della produzione di latte.

Si è fatto ricorso, ove possibile, alle irrigazioni supplementari per cercare di salvare il salvabile, mentre zone come la Calabria hanno chiesto al Governo centrale lo stato di emergenza. I danni ammonterebbero a ben oltre il miliardo dunque stiamo toccando con mano gli effetti deleteri dei cambiamenti climatici di cui abbiamo più volte parlato su queste colonne.

A causa di queste tragedie ambientali quest’anno le produzioni nazionali hanno già subito tagli dal 5 al 10% per la vendemmia, al 10% per il grano, mentre è praticamente dimezzata quella della frutta. Secondo Ettore Prandini, presidente della Coldiretti “…L’Italia deve proteggere il proprio patrimonio agricolo e la propria disponibilità di terra fertile con una doverosa valorizzazione delle campagne, in primis il presidio dei boschi…”.

Servono, immancabilmente, strumenti di gestione del rischio all’avanguardia, efficaci e con meno lacci e laccioli burocratici. Inoltre interventi strutturali attraverso cui si possono prevedere la realizzazione di una rete di piccoli invasi con basso impatto paesaggistico e diffusi sul territorio. Si dovrà privilegiare il completamento e il recupero di strutture già presenti, progettualità già avviate e da avviarsi con procedure autorizzative non complesse, in modo da indirizzare con velocità il progetto complessivo e ottimizzare i risultati finali.

Ettore Prandini

L’idea è di costruire senza uso di cemento, senza impatto ambientale, laghetti in equilibrio coi territori, che custodiscano l’acqua per distribuirla in maniera razionale ai cittadini, all’industria e all’agricoltura, con una ricaduta importante sull’ambiente e sull’occupazione.

Bisogna, infine, accelerare sull’approvazione della Legge sul consumo di suolo, ancora ferma da quasi un decennio, che potrebbe dotare l’Italia di uno strumento all’avanguardia per la protezione e la salvaguardia del territorio.

Da più parti – associazioni di categoria, organizzazioni non governative, istituti universitari, intergovernativi nazionali e mondiali – stanno presentando in giro report e relazioni dettagliati sul cambiamento climatico, sull’eccessivo consumo di suolo e sugli effetti letali per la salute dell’uomo e dell’economia.

Le lagnanze si stanno levando con forza e con l’ammonimento che non c’è più tempo da perdere. Le istituzioni sembrano, tuttavia, fare orecchie da mercante con risultati prossimi allo zero. Il presidente della Coldiretti ha parlato della già citata Legge sul consumo di suolo, che giace in Parlamento da oltre dieci anni e che, per una lunga serie di interessi politici, non viene mai approvata.

Chi mai approverà una legge a svantaggio della lobby dei costruttori molto forte nelle istituzioni locali, regionali e nazionali e che finanzia copiosamente numerosi partiti? Giacerà in Parlamento, ahinoi, chissà per quanto tempo ancora. E colpevolmente.

E poi un Programma politico teso al cambiamento radicale, chi lo dovrebbe attuare, il premier Super Mario Draghi? Colui che da direttore generale della Banca d’Italia non aveva visto, o fece finta di non vedere, i bilanci taroccati dei disastri finanziari del Monte Paschi di Siena? E chi ci crede?

In giro spifferi di malelingue sussurrano che “la svista” di Draghi sarebbe stata utilizzata più tardi per diventare presidente della Bce. Ecco come siamo messi: non ci resta, dunque, che prepararci al canto del nostro de profundis.         


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