Tra la professoressa che torna per dire la sua sulle pensioni, il buon Tabacci che fa il solito maneggione, Tridico che programma centinaia di milioni di euro di interventi e il ministro Orlando che si batte per gli assegni previdenziali ai giovani, la giostra della riforma previdenziale si è messa in moto. E non la finirà più di farci girare i maroni a manetta.
Roma – La professoressa Elsa Fornero arriva a Palazzo Chigi accolta con pifferi e tamburi. E’ proprio vero, a volte ritornano e fanno più paura di prima. L’ex ministro del Lavoro farà parte della squadra di consulenti e consiglieri del Comitato d’indirizzo per la Politica economica, istituito nelle scorse settimane dal sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Bruno Tabacci.
Sì, ancora e sempre lui, pronto per la rianimazione quando vi è qualcosa da restaurare. Ricordiamo tutti le esperienze precedenti del parlamentare di Quistello, come dimenticare ogni suo tentativo politico sempre e soltanto a suo vantaggio personale?
Stavolta c’è pure il benestare del Premier per risolvere il problema delle pensioni, che è uno dei capitoli su cui Bruxelles ci controlla con molta attenzione.
Comunque un punto di partenza della trattativa sostanzialmente condiviso c’è già e si definisce come il rafforzamento dei canali agevolati per i lavoratori impegnati in attività gravose e usuranti. Pertanto in prima battuta si cerca di raggiungere l’obiettivo attraverso l’estensione dell’Ape sociale, ma non solo.
Il confronto tra Governo e parti sociali è già in corso, poiché rimangono pochi mesi alla fine dell’anno ed al “pensionamento di Quota 100”. Ma è già intenso il pressing su Palazzo Chigi e sul ministero dell’Economia per evitare la riproposizione “integrale” della riforma Fornero. La professoressa infatti ha subito detto la sua: rinviare i pensionamenti. Ed è stato il panico.
Il ritorno della riforma legata all’economista piemontese è considerato “impensabile” oltre che dai sindacati, dai Cinque Stelle e dalla Lega. Ma anche nel Pd c’è chi punta su nuovi meccanismi di flessibilità in uscita.
Per il Ministro Andrea Orlando la priorità è rappresentata dagli assegni previdenziali da garantire ai giovani, ai quali non si potrà chiedere di sopportare gli eventuali costi di nuovi interventi.
I sindacati, invece, chiedono a gran voce di arrivare entro l’anno ad una operazione complessiva sulla previdenza che parta dalle indicazioni contenute nella loro proposta unitaria, a cominciare dall’introduzione di flessibilità in uscita dopo i 62 anni d’età e dalla possibilità di pensionamento con 41 anni di contribuzione, a prescindere dall’età anagrafica.
I Cinque stelle, che considerano impensabile un ritorno alla “legge Fornero”, chiedono una riforma organica della previdenza per rendere anche possibili le uscite con 41 anni di contribuzione.
Così prende forma la cosiddetta “Quota 41”, che è un cavallo di battaglia della Lega, la quale continua a insistere per consentire in qualche modo i pensionamenti dal 62esimo anno d’età. Com’è facilmente immaginabile non è facile trovare in bilancio la copertura finanziaria della forma previdenziale futura.
Tutti, con molta probabilità, attendono il varo della prossima legge di Bilancio, senza la quale sarà difficile fare previsioni.
In ogni caso l’Inps, nell’ultimo rapporto annuale, sottolinea che la scelta che farà il legislatore rispetto ad un possibile intervento dovrà tenere conto del crescente livello di spesa pensionistica rispetto all’attuale Pil, nonché delle tensioni che ci saranno nei prossimi anni anche a seguito della crisi pandemica.
Una soluzione che non impatterebbe troppo sui conti pubblici sarebbe, secondo il presidente dell’Inps Pasquale Tridico, di programmare 443 milioni il primo anno per poi arrivare a poco più di 2 miliardi il decimo anno.
Previsione che è frutto della proposta di offrire la possibilità di beneficiare, al compimento dei 63 anni d’età e con almeno 20 anni di contributi, della quota contributiva dell’assegno per poi usufruire anche della eventuale fetta retributiva al raggiungimento dei 67 anni. Poi si parlerà anche della crisi che soffrono le altre casse di previdenza e la possibilità che l’Inps possa assorbirne alcune.
Al momento, in considerazione del periodo di crisi che si sta vivendo, tirano un sospiro di sollievo i lavoratori per il divieto di licenziamento generalizzato che, in tal modo, rimane valido sino al 31 ottobre per alcune aziende e per altre sino al 31 dicembre. La situazione, Fornero a parte, è davvero tragica. E non è finita.