Il male del secolo ha acuito le criticità alimentari nel mondo. I Paesi più sottosviluppati hanno subito e subiscono i danni peggiori specie in relazione alla perdita di vite umane per fame. Si parla di 155 milioni di individui che non sanno come sopravvivere, 20 milioni in più dell’anno scorso. Fra questi il numero più alto di vittime riguarda i bambini. Una catastrofe che si aggiunge alla già terribile pandemia.
Roma – Il virus della fame è più letale del Covid-19. E’ da un anno e mezzo, ormai, che la il male del secolo è diventato protagonista della vita quotidiana. Fosse dipeso da noi poteva benissimo starsene per i cavoli suoi. A questo punto siamo in ballo e non possiamo che ballare.
L’attenzione politica, mediatica e dell’opinione pubblica si è concentrata sulla patologia virale e sugli effetti disastrosi che ha generato sulla salute pubblica e sull’economia, da cui è scaturita la crisi occupazionale che ben conosciamo.
L’investimento sui vaccini fa ben sperare però bisogna stare in campana, perché questo parassita che si nutre di cellule viventi ha una grande capacità di trasformarsi e di essere pericoloso. Tuttavia, se si analizzano i dati, emerge che i decessi per fame sono superiori a quelli del Coronavirus. Eccolo l’autentico nemico letale.
Inoltre i conflitti in corso in alcune zone del pianeta, l’instabilità economica accentuatasi con la pandemia, l’escalation della crisi climatica, hanno acuito la povertà aumentando il livello di insicurezza alimentare.
Nel rapporto annuale sulla fame presentato da Oxfam (Oxford Committee for Famine Relief) Comitato per l’aiuto alle vittime della carestia e delle calamità naturali – una confederazione internazionale di organizzazioni non-profit che si dedicano alla riduzione della povertà globale, attraverso aiuti umanitari e progetti di sviluppo – emergono numeri impressionanti.
Ben 155 milioni di persone, distribuite in 55 Paesi, hanno raggiunto livelli estremi di insicurezza alimentare, 20 milioni in più dell’anno scorso. La crisi sanitaria globale si è repentinamente trasformata in una sconvolgente crisi della fame che ha messo ancora più a nudo la disuguaglianza globale di cui, peraltro, si conosceva l’esistenza. Inoltre i conflitti sono stati i maggiori responsabili della fame globale e non accennano a concludersi.
Mentre nel 2020 il mondo intero si dibatteva alla ricerca di risorse da destinare alla lotta per combattere la pandemia, la spesa militare si è impennata del 2,7%, equivalente alla sbalorditiva cifra di 7,9 miliardi di dollari, sei volte e mezzo la cifra necessaria per soddisfare l’appello umanitario ONU 2021 per la sicurezza alimentare.
La crisi economica è il secondo fattore di quella della fame. I gruppi sociali che più hanno patito le conseguenze sono quelli più emarginati: donne, sfollati, lavoratori informali. Al contempo, i ricchi hanno incrementato i loro proventi di 413 miliardi di dollari, una cifra che equivale ad 11 volte l’appello umanitario ONU 2021.
Il terzo fattore che ha inciso sulla fame mondiale è la crisi climatica, che ha spinto ulteriori milioni di individui a migrare, raggiungendo livelli ancora più estremi di insicurezza alimentare.
Oxfam ha esposto una serie di proposte per porre rimedio alle crisi mondiali: il sostegno effettivo ai piccoli agricoltori per favorirne la ripresa e costruire sistemi alimentari più equi e sostenibili; finanziare l’appello umanitario dell’ONU e sostenere la creazione di un fondo globale per la protezione sociale.
Inoltre garantire l’accesso per fini umanitari alle zone in conflitto e porre fine all’utilizzo della fame come arma da guerra (succede anche questo); promuovere la partecipazione femminile alla leadership nei processi di pace; creazione di sistemi alimentari più equi, resilienti e sostenibili; vaccinazione universale gratuita; provvedere urgentemente alla crisi climatica; offrire la possibilità alle donne di assumere un ruolo guida nei piani di ripresa.
E’ chiaro che per dare una risposta a questi quesiti sarebbe necessario un ceto politico che abbia un Progetto a cui tendere. Non pare che ce ne sia uno all’orizzonte, invischiato com’è in politiche di piccolo cabotaggio ed in relazioni con gruppi di pressione non del tutto chiare e trasparenti.
I nostri nonni solevano affermare “il sazio non crede al digiuno“, ovvero il bisogno è incomunicabile ed è impossibile per gli esseri umani capirsi quando non ci si trova nella stessa condizione.