L’Italia si conferma fanalino di coda in Europa per lentezza processuale. I procedimenti-lumaca sono diventati ormai il biglietto da visita del Bel Paese. Ancora inattuato il cambio di marcia promesso da Draghi. Occorre una riforma veloce e snella in grado di riavvicinare i cittadini alla giustizia. Il referendum? Un’occasione da non perdere.
Roma – Sull’argomento Giustizia c’è molto da lavorare. A partire dallo squilibrio fra difensori e giudici. Nonostante la forbice si sia ridotta, restiamo tra i peggiori in Europa. In Italia alla fine del 2020 c’erano 400 avvocati ogni 100 mila abitanti. Di contro vi sono appena 12 giudici per 100 mila abitanti, numero tra i più esigui dell’Unione.
Le decisioni quindi arrivano tardi anche per carenza di magistrati. L’Italia è ancora il Paese dei tanti avvocati e dei pochi giudici. Uno squilibrio che ostacola le sentenze veloci. È così che la giustizia italiana ha conquistato il primato in quanto a lentezza nell’Unione Europea. Oltre due anni per una sentenza di primo grado nella giustizia civile, più di quattro anni per una sentenza definitiva in terzo grado di giudizio. Se tutto va bene. In caso contrario i tempi si allungano a dismisura.
Il quadro di valutazione UE sulla giustizia conferma che in Italia il Covid, con la sospensione di udienze e i confinamenti, ha aggravato di molto la situazione. Nel 2020 per avere una prima sentenza ci sono voluti quasi 700 giorni, rispetto ai 540 del 2018-2019 e dei quasi 600 del 2012. Peggio solo la Croazia. Mentre per giungere all’ultimo grado di giudizio ci sono voluti circa 1.500 giorni.
La situazione sembra addirittura peggiore rispetto a quanto prospettato dall’UE. Nella classifica delle inefficienze in Italia nel 2016 ci volevano 514 giorni per arrivare ad una sentenza di primo grado per contenziosi civili e commerciali, nel 2017 ce ne sono voluti in media 548. Un mese in più. Un dato che si riflette anche nei casi di riciclaggio di denaro, voce che nel rapporto della Commissione meriterebbe maggiori approfondimenti. Anche in questo caso l’Italia non si smentisce.
“…Il problema dei tempi della giustizia non riguarda solo l’Italia, dove comunque restano tra i più elevati…”, afferma Vera Jourova, commissaria per la Giustizia. Tanti i problemi, dunque, e uno di questi è la fiducia, tra le più basse per cittadini e imprese.
La Commissione europea da anni, nelle raccomandazioni specifiche per Paese, chiede all’Italia una riforma della giustizia che elimini lungaggini e inefficienze. Eppure, nonostante le sollecitazioni e le sanzioni, l’Italia vanta la giustizia più lumaca d’Europa. Nessuno, nell’UE, deve attendere quanto in Italia.
Non lavora meglio la giustizia amministrativa. Nel 2017 ci sono voluti 887 giorni per produrre decisioni da questi tribunali. Più di due anni. Peggio hanno saputo fare solo Cipro, Malta e Portogallo. La buona notizia è che nell’Italia dove i tempi della giustizia aumentano, i TAR diventano più veloci, con 38 giorni in meno rispetto al 2016.
Risorse economiche e umane sembrano essere il problema dell’Italia. Il Paese è nono a livello UE per spesa nel sistema della giustizia, ma più del 60% di quello che viene investito dallo Stato finisce nei salari di giudici e personale dei tribunali. Le riforme vengono chiamate a gran voce. Quello che tarda ad arrivare, oltre alle sentenze, sono le risposte. E non si vedono soluzioni a breve scadenza.