E’ un’eventualità di cui si parla sempre più frequentemente e che conta un buon numero di proseliti. Tutti sono d’accordo con un presidente rappresentativo e che faccia sentire la propria voce. Purché non vada oltre i poteri sanciti dalla Costituzione. Un Capo dello Stato come Sandro Pertini troverebbe ancora un ampio consenso popolare.
Roma – Il dopo Mattarella è alle porte. Indiscrezioni e rumors si sprecano. Una cosa, però, è certa: il Capo dello Stato non deve cercare l’applauso della gente, si deve limitare ad amministrare con misura e discrezione le prerogative che la Costituzione gli assegna. Attribuzioni che, peraltro, non sono affatto da poco ma che, a maggior ragione, richiedono una particolare sobrietà se si vuole rimanere dentro i confini della tradizione repubblicana.
I Presidenti della Repubblica eletti fino ad oggi hanno sempre rispettato questi confini, garantendo l’unità del Paese e l’equilibrio delle sue forze. E lo hanno fatto ricavandone una discreta popolarità.
Il caso di Mattarella, entrato al Quirinale in punta di piedi e che ora si appresta a uscirne tra gli applausi degli italiani, riassume molte altre vicende e richiama personaggi di grande spessore che non a caso oggi vengono rievocati, quasi tutti con un misto di ammirazione e nostalgia. Uno fra tutti Sandro Pertini, rimasto nel cuore degli italiani come pochissimi altri.
In passato, tranne rare eccezioni, i Capi dello Stato venivano scelti per non fare troppo ombra ai veri padroni del vapore del momento, ovvero i partiti ed i loro leader. Infatti, quasi tutti, tendevano ad evitare, soprattutto agli inizi, di sovrapporre al prestigio della loro carica un quasi inevitabile protagonismo che avrebbe potuto incrinare l’equilibrio di quel “sistema“.
Con gli anni, però, questo costume è finito nel dimenticatoio o, forse, si è solo messo al passo con i tempi. Così man mano che gli inquilini del Quirinale prendevano confidenza con il loro ruolo, quasi sempre il loro indice di popolarità tendeva a crescere mentre il carattere delle loro esternazioni tendeva a diventare più assertivo.
Certo il protagonismo politico dei Capi di Stato che si sono succeduti ha modificato qualche consuetudine ma non ha mai sovvertito quell’equilibrio che i “padri” della Costituzione avevano tratteggiato e che i loro “figli” hanno cercato di conservare.
Certo ci sono stati presidenti dal carattere politico più pronunciato, come Pertini e Cossiga, e che dal punto di vista mass-mediatico sono stati maggiormente rappresentativi. Altri invece hanno mantenuto un profilo basso senza mai emergere, nemmeno quando hanno rappresentato l’Italia in terra straniera.
Oggi le cose sono cambiate. E di molto. Da più parti si parla sempre più assiduamente di una Repubblica Presidenziale e l’argomento inizia a fare proseliti. E’ la bandiera di Giorgia Meloni e della sua destra, che gode di un largo consenso fra l’opinione pubblica, come ha segnalato un sondaggio di Ilvo Diamanti.
Anche Salvini spera che il successore di Mattarella sia l’ultimo Presidente non eletto direttamente dal Popolo italiano. In questa maniera quello che sembrava un sogno, una suggestione, sempre rimasti ai margini della vita repubblicana, cominciano a guadagnare terreno. Tutte cose di cui si può discutere, s’intende. Ma che richiedono come minimo un prudente dosaggio dei poteri.
Infatti non ci potrebbe essere nulla di peggio che arrivare a una forma di presidenzialismo surrettizio, lasciando le leggi così come sono, cioè senza quelle garanzie e contrappesi democratici che solitamente accompagnano un Capo dello Stato eletto dal Popolo e non più dal Parlamento.
Il rischio è quello di mettere sul trono un presidente taumaturgo, a cui l’immaginazione popolare finisca con l’affidare un compito che vada ben oltre i suoi poteri. Mentre dovrebbe rimanere indispensabile quel “quid pluris” di moderazione, discrezione ed autorevolezza, in grado di qualificare l’operato del Presidente della Repubblica sempre al di sopra di ogni sospetto.
Il problema, dunque, è quello che il presidente possa spingersi oltre i suoi poteri, in quanto indotto a pensare che la gente si aspetti qualcosa di “forte ed unico” attesa l’investitura popolare derivata del voto. Riformare il sistema rimane obbligatorio ma bisogna farlo con molta attenzione onde evitare errori madornali che possano mettere sotto scacco la stessa Costituzione.