Palamara scalpita, qualcuno trema

I cittadini si chiedono come mai a pagare sarà soltanto Palamara e non anche i magistrati che facevano parte del suo rodato “sistema”? Le toghe che hanno usufruito di favori e raccomandazioni verranno mai giudicate? Intanto è l’ex presidente dell’Anm a pagarne le conseguenze. Il resto si vedrà. Forse.

Roma – I riflettori sul “sistema e le cospirazioni” nella magistratura rimangono accesi. Palamara non demorde e invoca giustizia affinché si faccia luce sull’aggrovigliata matassa dei togati, fino a ieri alla sua corte ed adesso acerrimi accusatori e fustigatori morali.

Luca Palamara

La sezione disciplinare che lo ha rimosso non è stato un giudice terzo ed imparziale. Per queste ragioni i legali dell’ex Presidente dell’Anm annunciano di aver depositato un ricorso alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.

Nel ricorso si lamenta in particolare la violazione dell’articolo 6 della CEDU nella misura in cui “…Non è stato garantito il diritto del ricorrente ad un equo processo, in termini di terzietà ed imparzialità, attesa la mancata astensione e la non disposta ricusazione di Davigo, ora in pensione, che ha ricoperto il ruolo di Giudice disciplinare pur avendo avuto conoscenza dei fatti oggetto di incolpazione al di fuori del procedimento disciplinare…”.

Piercamillo Davigo (Foto Ansa)

La decisione del Csm di rimuovere Palamara dalla magistratura era arrivata nell’ottobre 2020. “…È il regista del sistema per condizionare le nomine delle procure…”, la motivazione della sentenza del processo disciplinare.

Come se fosse stata una novità ed un fulmine a ciel sereno, basta vedere le chat per rendersi conto del degrado e del senso di onnipotenza di una categoria che non è vissuta nel “Paese delle meraviglie”.

Insomma ci sono state responsabilità personali, ma certamente oggettive, con un modus operandi che farebbe impallidire anche il tanto vituperato mondo politico della prima Repubblica. Forse addirittura di più.

Un sistema ormai incancrenito che se non verrà riformato, dalle fondamenta e negli uomini, non potrà mai più avere quell’autorevolezza che consente di giudicare per i diritti violati e i comportamenti “contra legem”.

Margherita Cassano

In ogni caso il lamento di Palamara riguarda la presunta negazione del suo diritto di difesa che non gli avrebbe permesso di ammettere prove decisive per dimostrare la sua innocenza. Il tutto anche alla luce dell’annullamento del Consiglio di Stato della nomina del presidente aggiunto della Cassazione, Margherita Cassano, che ha presieduto il collegio delle sezioni unite confermando cosi la decisione di rimozione dal Csm.

Il caso Palamara ha terremotato l’intero Consiglio Superiore della Magistratura, l’organo di autogoverno delle toghe a cui, in base all’art. 105 della Costituzione, spettano “Le assunzioni, le assegnazioni e i trasferimenti, le promozioni e i trasferimenti disciplinari nei riguardi dei magistrati. E ovviamente anche la difesa dell’autonomia della magistratura.

Sergio Mattarella, presidente del Csm

In sostanza quando il Csm era chiamato a pronunciarsi sulle nomine dirigenziali negli uffici giudiziari, si confrontavano le correnti dei togati che, in base ai titoli e ai requisiti dei candidati, sceglievano poi il magistrato da destinare a quell’incarico. Certo nelle votazioni influivano anche i voti dei laici. E non solo.

Amarissime le parole dell’ex magistrato: “…Lascio giudicare a tutti che credibilità possa avere una pubblica accusa sostenuta da chi era presente nelle mie chat – ha detto Palamara – e si auto raccomandava ed un vice presidente del Csm eletto secondo gli stessi meccanismi che ora mi vengono contestati…”.

Luca Palamara

L’amara realtà è che tra i togati si è combattuto l’un contro l’altro armato utilizzando i verbali di interrogatorio, le intercettazioni e le lettere anonime. La sfida ancora continua e lo sviluppo è imprevedibile. Resta il fatto che Palamara, fino adesso, non dovrà indossare mai più la toga. Poiché rimosso dall’ordine giudiziario per aver commesso illeciti disciplinari “di elevatissima gravità”.

Eppure un “giudice a Berlino” vi sarà per valutare le responsabilità di un sistema che coinvolge tutti. Un atto dovuto per ripristinare speranza, fiducia e dignità.

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