Dopo 25 anni e grazie alla tenacia di una criminologa pugliese sono state avviate nuove indagini sulla morte di una giovane segretaria ritrovata cadavere nello studio di un commercialista di Chiavari. L’attuale indagata era stata inquisita anche all’epoca dei fatti ma le indagini su di lei vennero concluse senza esiti nonostante gli importanti indizi scoperti a suo carico.
Chiavari – Torna alla ribalta della cronaca nera un’insegnante già indagata per la morte di Nada Cella, 24 anni, segretaria di un commercialista, barbaramente assassinata il 6 maggio 1996 nell’ufficio dove lavorava.
La riapertura del caso giudiziario, destinato a rimanere un “cold-case” a distanza di un quarto di secolo, si deve alla tenacia investigativa della criminologa barese Antonella Delfino Pesce che verificando le migliaia di pagine del fascicolo archiviato e incentrando le sue investigazioni su un bottone, ritrovato sotto il cadavere, è riuscita a suscitare l’interesse degli inquirenti che hanno riaperto l’inchiesta.
L’attuale ed unica indagata per l’omicidio di Nada ha un nome e un cognome che già figurava nei verbali dell’indagine chiusa troppo frettolosamente: Anna Lucia Cecere, 53 anni, sposata con Lorenzo Franchino, un figlio, ex insegnante residente a Boves, in provincia di Cuneo. La donna, di origine casertana, sin da giovanissima si era trasferita in Liguria, a Santa Margherita Ligure, dove aveva messo su famiglia.
Cecere si era poi trasferita a Chiavari dove conosceva il commercialista Marco Soracco di cui si sarebbe invaghita. I due, sempre secondo le accuse, avrebbero intrecciato un rapporto sentimentale mentre frequentavano la stessa discoteca.
Gli inquirenti dunque sarebbero convinti proprio del movente passionale. In pratica l’insegnante, che sarebbe stata più volte nello studio di Soracco, avrebbe conosciuto Nada Cella nei riguardi della quale pare nutrisse una forte gelosia che poi si sarebbe trasformata in rabbia dunque in odio. Un grande risentimento per quella giovane e bella ragazza che avrebbe potuto rappresentare un ostacolo per la sua relazione con il professionista ligure.
La donna era finita sul registro degli indagati ma per chissà quale motivo ne sarebbe uscita fuori indenne nonostante gli indizi di una certa consistenza portassero a lei già nell’immediatezza dei fatti. Il 25 febbraio 2003 il Pm Filippo Gebbia richiede e ottiene l’archiviazione è l’inchiesta viene chiusa senza alcun cenno all’insegante le cui generalità, il 28 maggio del 1996, a soli 22 giorni dall’omicidio, comparivano in un verbale dei carabinieri a seguito di un sequestro di cinque bottoni ritrovati in casa dell’indagata.
Bottoni non comuni, scrivono i militari, ma “di forma circolare con parte anteriore metallica che reca raffigurata una stella a cinque punte incastonata in un bordo orlato con la dicitura Great Seal of the State of Oklahoma” descritti come “pertinenti al reato per il quale si procede in quanto uguali al bottone repertato sotto il corpo della vittima”.
All’epoca dei fatti la Cecere a domanda rispondeva senza dare alcuna giustificata motivazione, annotavano i carabinieri, sulla provenienza dei bottoni che la donna asseriva di aver tolto da una giacca in disuso. Partendo proprio da quel bottone la giovane criminologa pugliese scopriva altri nuovi indizi che giungevano sul tavolo degli attuali inquirenti, il procuratore aggiunto Francesco Pinto e il sostituto Gabriella Dotto.
La maestra scompare di scena senza subire un interrogatorio e la sua implicazione nell’omicidio finirà a tarallucci e vino. Di contro, e proprio in questi giorni, Marco Soracco e la madre Marisa Bacchioni sarebbero indagati per false attestazioni al Pm poiché l’uomo avrebbe mentito sullo stretto rapporto che lo legava all’ex insegnante di Boves, tutt’altro che una conoscenza superficiale.
Poi la vicenda delle minacce telefoniche rivolte dalla Cecere alla criminologa, dopo il loro incontro, aggraverebbero ancora di più la situazione dell’ex maestra di Caserta:
”…Non fare la finta tonta stronza – avrebbe detto l’indagata ad Antonella Delfino Pesce – come facevi a sapere che uscivo con quello e tutti i cazzi miei? E di quello bassino (Marco Soracco), come facevi a saperlo? Hai paura eh? Adesso sono qua, non ti preoccupare…Ti ci trascino per i capelli e poi ti faccio fare le domandine: indovina indovinello…“.
La povera Nadia era tornata al lavoro dopo un tranquillo fine settimana trascorso con i genitori e la sorella più grande. La ragazza però sarebbe arrivata in ufficio prima del solito, alle 7.50. Chissà perché. Un’ora dopo qualcuno non identificato stampava un documento con il computer dell’ufficio.
Tra le 8.45 e le 9.00 chiamano tre clienti. Nada però non risponde. Una cliente che aveva chiamato verso le 9.00 sosteneva di aver parlato con una donna anziana che le diceva di aver sbagliato numero. La cliente riprovava a telefonare e a risponderle era sempre la stessa donna che sgarbatamente le ripeteva di aver sbagliato numero ancora una volta.
La giovane è già dietro la sua scrivania e subito dopo apriva la porta al suo assassino, tra le 8.45 e le 9. Lo faceva entrare ed insieme si spostavano nell’ufficio di Nada. Qui accadeva l’irreparabile nel giro di pochi istanti. La ragazza veniva aggredita repentinamente senza avere il tempo, e il modo, di difendersi. La giovane era stata uccisa da una persona che non considerava una minaccia.
Una decina di colpi in rapida successione, sferrati con un corpo contundente simile a un trofeo mai ritrovato. Colpi micidiali in testa e sul pube, inferti con violenza brutale anche dopo che la vittima, in un lago di sangue, cadeva sul pavimento ormai in balia del suo killer.
Una volta a terra la ragazza sembrava morta tanto che il suo aguzzino, dopo averle inferto l’ultima terribile stangata al capo che le appiattiva il cranio, fuggiva via indisturbato. Il dottor Soracco, una volta giunto in studio, è il primo a scoprire la ragazza ancora agonizzante distesa sul pavimento tra il muro e la scrivania. L’uomo chiama il 113 e sul posto arrivano agenti di polizia e soccorritori.
Fra questi ultimi un amico della ragazza, Andrea Grillo, che intuisce la gravità della situazione e a sirene spiegate si dirige all’ospedale San Martino di Genova dove Nada veniva operata senza successo per poi spirare subito dopo.
Nel frattempo la madre del commercialista, Marisa Bacchioni, credendo che la ragazza avesse avuto un’emorragia da caduta aveva ripulito l’ufficio con la candeggina poco prima dell’arrivo della polizia. La scena del crimine era stata in parte irrimediabilmente compromessa.
Si scoprirà che Nada Cella era stata in ufficio anche il sabato prima e avrebbe giustificato la sua presenza dicendo a Marisa Bacchioni di avere molto lavoro arretrato da finire. La ragazza si sarebbe messa in borsa, a detta della madre di Marco Soracco, un floppy disk mai più ritrovato.
In tempi diversi venivano indagati il commercialista, un’amica di Nada che abitava in un palazzo vicino via Marsala, una ragazza psicolabile che viveva nello stabile, Anna Lucia Cecere che in quel periodo frequentava lo studio e corteggiava il commercialista, un finanziere che la mattina dell’omicidio era andato in una vicina lavanderia e un amico di Nada, proprietario di un’auto blu, con cui la ragazza litigava spesso.
Tutti verranno prosciolti. Sul libro degli indagati finiva anche Sergio Truglio, assassino di una prostituta che conosceva Nada, ma si trattava dell’ennesimo buco nell’acqua. L’inchiesta coordinata dal Pm Filippo Gebbia, in contrato con gli agenti della Mobile di Genova, aveva portato a incomprensibili lapsus come, per esempio, le mancate intercettazioni nei condomini di via Marsala, la negata comparazione del Dna per meri cavilli legali e la posizione giudiziaria di Anna Lucia Cecere abbandonata all’oblio.
Dal 2017, in effetti, i poliziotti della Scientifica di Genova lavoravano al caso con l’aiuto del programma importato dall’Fbi “ImaQuest” per ricomporre un’impronta digitale forse riconducibile all’assassino. Poi la riapertura delle indagini grazie al lavoro certosino della criminologa pugliese ed ai magistrati inquirenti che hanno ritenuto di spingere l’acceleratore.
“…Chi sa prenda coraggio e vada dagli inquirenti – dice l’avvocato Sabrina Franzone per conto di Silvana Smaniotto, mamma della vittima – non cerchiamo il colpevole a tutti i costi. Ma qui c’è una madre che vuole solo capire che cosa è realmente accaduto. Una madre che invoca la verità...”