La situazione politica attuale verte su questi due importanti argomenti che provocano divisioni all’interno dei partiti di maggioranza ma, soprattutto, in casa Pd e 5 Stelle. Dopo un periodo di letargo è tornato sul fronte anche Matteo Renzi che intende favorire la Santa Sede con alcune modifiche al disegno di legge Zan. In aula si vedranno i risultati.
Roma – In casa Pd e Cinque Stelle non sventola più “bandiera bianca” come in Consiglio dei Ministri. Piuttosto si respira aria di rivolta. Entrambe le forze politiche, infatti, devono affrontare argomenti tanto complessi quanto apportatori di marcate divisioni.
Da una parte il Ddl Zan, con la frattura sempre meno sotto traccia tra chi nel Pd, come il segretario Letta, punta a portare il testo in Senato così com’è mentre altri, e non sono pochi, premono per aprire un dialogo con Salvini e Renzi, finalizzato a modificare il provvedimento prima dell’approdo a Palazzo Madama.
Dal versante M5s la riforma della giustizia, targata Cartabia, rischia di far implodere i grillini rimasti affezionati al testo di Bonafede. Nel partito di maggioranza relativa, infatti, la proposta votata in CdM rischia di cadere sotto i colpi del M5s. In realtà il giorno dopo il via libera del Consiglio dei Ministri sono tornati a soffiare i venti della scissione. Che ormai sta diventando una farsa.
Da un lato c’è Grillo accomodante, dall’altro c’è Conte in netto disaccordo con la proposta Cartabia. Il nodo principale è rappresentato dallo stop alla prescrizione, tanto che prima della riunione del Governo a Palazzo Chigi i pentastellati avevano minacciato l’astensione al momento del voto.
Il dubbione è tuttora rimasto in piedi poichè il M5S avrebbe inizialmente voluto estendere la prescrizione a tutti i gradi di giudizio. Ma la mediazione della Guardasigilli ha riportato apparente serenità. Il Ministro della Giustizia, difatti, ha puntato sull’inclusione dei reati contro la Pubblica Amministrazione, come la corruzione e la concussione, tra quelli con tempi processuali allungati e l’inserimento delle condizioni di “improcedibilità” per il secondo e terzo grado.
Ma nonostante Draghi abbia chiesto ai ministri, una volta raggiunta l’intesa, di essere coerenti in Parlamento, il timore è che proprio nel passaggio parlamentare i Cinque Stelle, comunque partito di maggioranza relativa, possano rimetterne in discussione tutto l’assetto.
Attualmente nessuno nel M5s è in grado di garantire che ciò non accadrà. Infatti Alessandro Di Battista, Alfonso Bonafede e Giuseppe Conte (nonostante l’accordo raggiunto con il Garante genovese) guidano un fronte di attacco contro i ministri pentastellati.
Ma se la riforma della giustizia è divisiva per i seguaci di Grillo, il Ddl Zan lo è per il Pd su una probabile trattativa del testo. Letta, comunque, tira dritto per consolidare il proprio elettorato di riferimento almeno su questioni identitarie storiche. A un giorno dall’avvio della discussione al Senato lo scontro sul disegno di legge si è spostato tutto a sinistra.
Ad alimentarlo un gruppetto di senatori del Pd che, preoccupati per le poche chances di approvazione della legge, hanno spinto per una mediazione e chiesto al proprio partito di accettare qualche piccola modifica sui punti più controversi del testo contro l’omotransfobia.
Ma i vertici del Nazareno, a cominciare da Letta, pare non abbiano voglia di cedere. Tanto che il segretario del Pd si dice pronto ad ascoltare, discutere, dialogare, ma solo in Parlamento. Nessuna mediazione, dunque, soprattutto se la proposta parte da Renzi.
La sfida di Letta non è dunque rivolta tanto nei confronti della Lega, quanto nei riguardi del leader di Italia Viva che ha chiesto un accordo ampio per apportare alcune modifiche in linea con le richieste della Santa Sede.
In ogni caso il Ddl Zan, agli artt. 4 e 7, lede il diritto alla libertà di espressione (art. 21 della Costituzione), alla libertà di insegnamento dei docenti (art. 33 della Costituzione), alla libertà di scelta educativa che spetta ai genitori. Domani sapremo com’è andata in aula.