Il sistema “Palamara” e le chat dei favori

Comunque vadano le cose la magistratura deve riaccreditarsi davanti agli italiani affinché riacquistino fiducia nelle toghe in generale, nella giustizia in particolare. Chi ha sbagliato deve pagare magari scegliendo la pensione o le dimissioni dall’Associazione nazionale Magistrati.

Roma – Il caso Palamara, le vicende dell’Anm e del Csm, tornano prepotentemente alla ribalta delle cronache. Si è solo all’inizio ma le vicende s’intrecciano e cominciano a definirsi nel loro complesso ed aggrovigliato pianeta correntizio. Nulla di nuovo, purtroppo, solo conferme di trame, richieste, favori, raccomandazioni, strategie e sotterfugi che gettano, oltre misura, una coltre di sospetti sull’intera categoria dei togati.

Luca Palamara

D’altronde si sa, il sospetto, un’incolpazione, un’indagine, è stata trasformata da garanzia per l’indagato ad arma potente per delegittimare qualsiasi persona. Per denudarla e derubarla della propria dignità, ancor prima della sentenza. Circostanza ancor più pesante da digerire quando trattasi di magistrati, verso i quali i cittadini dovrebbero avere incondizionata fiducia.

L’attività istruttoria per esaminare le chat di Palamara è durata un intero anno solo per individuare chi sono i giudici rei di avere violato l’art. 10 del Codice deontologico dell’Anm, relativo agli “obblighi di correttezza del magistrato”.

Luca Poniz presidente Anm dal 2019

Indagine ostacolata dai numerosi limiti posti in essere dai “conversatori nelle chat”, alcuni dei quali si sono anche appellati al Garante della Privacy. Come si suol dire tutto il mondo è paese. D’altronde al di là delle responsabilità individuali o meno e dei nomi, che sono già emersi ed altri emergeranno, è indubbia la volontà di ogni singolo di esimersi da ogni controllo e valutazione.

Ma quando si entra nel girone mediatico della “perdizione”, la ricerca dei nomi degli incolpati e indagati è il primo “vizio italiota” che si cerca di soddisfare, al di là delle contestazioni mosse. Non foss’altro per sapere se vi è un conoscente, un amico, un parente tra coloro a cui viene contestato uno “strappo lacerante sulla toga”.

Luca Palamara ha spiegato ai magistrati umbri il funzionamento del «sistema delle nomine» al CSM

Da quanto si è appreso sarebbero circa settanta le toghe finite nel mirino del collegio dei probiviri dell’Anm, presieduto dall’ex giudice di Cassazione, Gioacchino Romeo. I probiviri pare che si siano mossi sulla base del materiale ricevuto dalla Procura di Perugia, dunque sulle chat oggetto di perizia. Dal “racconto” di Palamara però non si può prescindere per analizzare certi comportamenti, che saranno accertati in sede processuale. Ed è qui il punto.

Al di là delle eventuali responsabilità penali, c’è il “valore” della toga che merita di essere tutelato, con indagini approfondite per preservare il prestigio di una magistratura in sofferenza. Non si può certamente fare finta di non sapere nulla del sistema antecedente a Palamara ed in ogni caso vigente da anni per colpire o favorire un avversario o un amico, per una promozione, un incarico. Ora bisogna andare a fondo verificando ogni singola responsabilità. Assolutamente.

Questo non vuol dire trovare ad ogni costo un colpevole per risolvere il problema ma, soprattutto, tentare di ridare credibilità ad una categoria in caduta libera. In ogni caso se si vuole chiudere la questione basterebbe che i giudici interessati, ossia i circa 70 e più accusati a vario titolo, andassero in pensione o si dimettessero dall’Associazione Nazionale Magistrati, per evitare l’indagine interna e l’eventuale sanzione. Ma sarebbe una furbata che lederebbe ulteriormente l’immagine.

Appare opportuno ricordare l’art. 10 del codice etico dell’Anm, che così recita: “Il magistrato non si serve del suo ruolo istituzionale o associativo per ottenere benefici o privilegi per sé o per altri. Il magistrato che aspiri a promozioni, a trasferimenti, ad assegnazioni di sede e ad incarichi di ogni natura non si adopera al fine di influire impropriamente sulla relativa decisione, né accetta che altri lo facciano in suo favore…”. 

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