La riforma proposta dal ministro della Giustizia non piace ai magistrati. La giudicano un sistema che potrebbe peggiorare le cose. E' indispensabile mantenere l'autonomia dei magistrati ma occorrono anche altre modifiche basilari di cui si parla, inutilmente, da anni.
Roma – Molti sono i dubbi e le perplessità che continua a suscitare la riforma del Csm, con il marchio Bonafede. Si parla di nuove norme in materia di costituzione e funzionamento del Consiglio Superiore della Magistratura. Ma non solo. Anche di adeguamento dell’ordinamento giudiziario militare e di eleggibilità e ricollocamento in ruolo dei magistrati. Però ogni riforma sarà degna di questo nome solo se i cambiamenti saranno reali e ogni corrente interna saprà innovarsi e ritrovarsi nel nostro tempo. Un tempo che ha bisogno di fiducia, credibilità, autorevolezza ed onestà. Si chiede sempre di più a chi occupa ruoli non solo di rappresentanza politica ma anche a chi spetta il duro compito di fare rispettare ed applicare il diritto vigente, come i magistrati che altro non sono che “funzionari pubblici” con funzioni di giudice e di pubblico ministero. Ma si vuole davvero realizzare tutto questo? Tutto questo, infatti, non si cambia in questo modo, con questa riforma, ma “solo quando i magistrati avranno un ripensamento etico del proprio profilo professionale“, afferma il magistrato Alfonso Sabella. Anche al consigliere del Csm Nino Di Matteo non pare una buona riforma. Infatti il magistrato la vede in maniera assai riduttiva e trova molti consensi:
“…La volontà di una reazione improntata alla velocità, per lo più apparente, e l’intento demagogico di dimostrare all’opinione pubblica di voler porre fine a fenomeni degenerativi nel Csm e in parte della magistratura – ha detto Di Matteo – ma senza individuare e intaccare le patologie: correntismo, collateralismo con la politica, carrierismo, burocratizzazione e gerarchizzazione degli uffici di Procura... Il sistema previsto da Bonafede è inadeguato alla soluzione del problema e può aggravarlo perchè, a scapito di minoranze e candidati indipendenti, favorirà le correnti a più forte radicamento territoriale. Il cui potere, che non si esplica solo alle elezioni, non sarà scalfito senza riforme radicali…“.
La discrezionalità del Csm ”viene ridotta, rischiando di diventare un’organo burocratico, mentre la Costituzione gli dà tutt’altro rango” afferma il vice presidente del Csm David Ermini. Il sorteggio, secondo Ermini, è infatti ”un sistema inaccettabile e per le commissioni del Csm è proprio una forzatura“. Se sia una riforma anti-inciuci bisognerà verificarlo. Comunque sembra più una riforma di facciata che una vera rivoluzione culturale e giuridica. In definitiva un vero ricorso alla “dea bendata“: “…Il problema – conclude Ermini – è la scelta degli uomini. Puntare, cioè, ad elevare il livello della scelta, non al ribasso, pur di rispondere a interessi di gruppo, perché in questo caso diventano inciuci…”.
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Dopo l’approvazione della legge delega in Consiglio dei Ministri, le reazioni della politica sono le più svariate e bizzarre. Così come, secondo alcuni magistrati, ci sono anche delle “norme positive” ma viene definito “ipocrita” il nuovo divieto di costituire gruppi a Palazzo dei Marescialli. Anche sentendo alcuni politici si passa da chi sostiene che sia una “riforma gattopardesca” a chi afferma che “non cambierà nulla“. Insomma le solite “frasi tipo“, buone per ogni circostanza e tematica. Tanto tuonò che piovve ma solo pioggerella finissima, qualcuno ripete da giorni, per far comprendere che sono caduti solo alcuni pregiudizi ma la sostanza è rimasta invariata. Basta pensare che non è stato affrontato, se non da pochissimi, l’argomento della separazione delle carriere tra pubblico ministero e giudice, alla luce della invocata riforma del Csm. Ma molto probabilmente è diventato l’ultimo dei problemi o delle questioni che interessano
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L’ultima proposta di legge sulla separazione delle carriere dei magistrati, depositata nei primi mesi del 2019, prevede la scissione tra i giudici e pubblici ministeri, per formare due distinti Csm: uno per la magistratura giudicante e uno per la magistratura requirente. Ma nulla in tal senso, anche se necessaria una riforma costituzionale per le modifiche. Tanto per essere chiari la Costituzione italiana (ex articoli 104 e 106) prevede che tutti i magistrati facciano parte di un unico ordine, al quale si accede mediante concorso pubblico ma con la possibilità di passaggio tra la funzione giudicante e quella del pubblico ministero che rappresenta l’accusa. Allo stesso modo la Costituzione prevede un unico organo di autogoverno, ovvero il Consiglio Superiore della Magistratura, che assicura l’autonomia dell’ordine giudiziario e si occupa delle questioni inerenti la magistratura civile e penale.
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Il dettato costituzionale prevede anche che il pubblico ministero sia in una posizione di totale autonomia ed indipendenza sia dal potere esecutivo che da ogni altro potere, esattamente come il magistrato in posizione giudicante. In realtà, si è osservato che all’interno della Costituzione non è rilevabile alcun principio che vieti di separare le carriere di Pm e giudice, pur considerando la magistratura un unico ordine così come sottolineato dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 37 del 2000.
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