La pletora paramedica del Bel Paese piange giustamente miseria e protesta. Sempre in prima linea durante la lotta al Covid gli infermieri hanno insenato una protesta contro le condizioni di lavoro inaccettabili, il mancato riconoscimento delle competenze e le gravi carenze di personale. Oltre che di una busta paga da fame. Ma non erano i nostri eroi? Passata la festa, gabbato lo santo.
Roma – Tutti noi ricordiamo quando all’inizio della pandemia con gli ospedali intasati di ricoveri, gli infermieri, una categoria fino ad allora poco considerata, sono stati incensati con locuzioni della serie angeli della sanità, i nostri eroi, e cosi via dicendo. L’adorazione è durata lo spazio di un mattino, visto che col tempo gli angeli hanno perso le ali e gli eroi non fanno più parte di questo mondo.
Il 28 gennaio scorso gli infermieri hanno indetto uno sciopero nazionale a cura di Nursind, organizzazione sindacale per la tutela delle professioni infermieristiche. I motivi della protesta sono state le condizioni di lavoro inaccettabili, il mancato riconoscimento delle competenze e le gravi carenze di personale. Oltre al grave problema degli stipendi, che sono tra i più bassi d’Europa. C’è da tener presente quella degli infermieri è stata la prima categoria professionale soggetta all’obbligo vaccinale.
Per questi lavoratori il Covid-19 è stato come un vero e proprio tsunami, la situazione occupazionale è, ancora oggi, al limite della sopravvivenza. E’ passata agli onori della storia, oltre che della cronaca, la foto dell’infermiera che, esausta, crollava spossata sulla scrivania, a testimonianza delle condizioni di lavoro stressanti in cui sono stati costretti a lavorare.
Il segretario provinciale del sindacato Nursind di Torino, Giuseppe Summa, ha fatto un magro bilancio: “…Molti di noi sono morti – ha detto il sindacalista – altri si sono licenziati per non morire di stress e per accudire le proprie famiglie. Chiediamo assunzioni e riconoscimenti economici per gli straordinari. Nel solo Piemonte c’è bisogno di almeno 4mila assunzioni per rispondere alle esigenze del territorio…”.
L’ultimo rapporto Almalaurea ci informa che lo stipendio di un infermiere ad un anno dalla laurea si aggira sui 1.400 euro. Gli stipendi al Nord risultano un po’ più alti del Sud, 1.413 euro contro 1.271 euro mensili. Ultimamente ci sono stati aumenti stabiliti dal CCNL: si va dai 67 agli 85 euro al mese. Le retribuzioni annue al lordo oscillano tra i 23.074 euro della prima categoria, la D, esclusa la tredicesima mensilità, ai quasi 28mila per il livello più alto, D6.
Secondo un’analisi effettuata da Truenumbers, un sito di datajournalisme (giornalismo dei dati), gli stipendi degli angeli ed eroi italiani sono tra i più bassi della media OCSE, l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico.
Molto distanti da Lussemburgo, Olanda e USA, Paesi che occupano le prime posizioni in questa speciale classifica. In media gli infermieri ricevono un introito medio annuo al lordo di 44.400 dollari. L’OCSE per scopi puramente scientifici e per confrontare tutti i Paesi, utilizza questa valuta adattandola all’indice PPP, (Purchasing Power Parity), ovvero la parità di potere d’acquisto.
Inoltre ha calcolato anche la relazione tra lo stipendio di un infermiere e quello di un lavoratore medio. Il rapporto è perfettamente in linea con quello della media OCSE: 1,1. Questo perché è basso il livello dello stipendio anche del lavoratore medio italiano, rispetto ai suoi colleghi delle maggiori economie.
Nel dicembre 2020 è stata coniata una moneta con l’effige di medici e infermieri per rendere il giusto omaggio a chi è stato in prima linea nella lotta al Coronavirus, investendo tempo, risorse ed energie al servizio dei pazienti.
Qualcuno ci ha lasciato financo le penne. Più che un riconoscimento simbolo da inserire in quella retorica mielosa tipicamente italiana, c’è bisogno di fatti concreti basati su aumento del personale e delle buste paga e di un welfare state più attento alla sanità territoriale. Altro che medaglie.
D’altronde da un Paese considerato la culla del melodramma, della commedia dell’arte e della sceneggiata, non ci si poteva aspettare di meglio.