Da tempo si fa un gran parlare di digitalizzazione e sostenibilità, come se fosse la panacea per risollevare le sorti dell’asfittica economia italiana, soprattutto per le nostre piccole e medie imprese. Quando si passerà dalle parole ai fatti?
Roma – Il concetto di digitalizzazione rimanda all’utilizzo delle tecnologie digitali da parte delle imprese per ridurre i costi, condividere informazioni in maniera semplice e veloce e rendere i flussi di lavoro più snelli. La sostenibilità invece è legata ad un modello di sviluppo in grado di soddisfare i bisogni della generazione presente senza compromettere le generazioni future.
Pianificare in tale direzione, stando agli esperti, porterebbe le imprese ad un successo duraturo nel contesto della competizione globale. Si punta alla creazione di valore in modo circolare sui tre pilastri delle imprese, le tre P di profitto, prodotto e persone. Un’inversione di tendenza rispetto alla concezione precedente che mirava al profitto indipendentemente dal resto, senza se e senza ma.
Persone e ambiente non contavano un fico secco, ed i risultati disastrosi si sono visti. Tant’è che stiamo pagando un prezzo altissimo. Finanche il tanto strombazzato Pnrr, sorto nel 2021 con l’intento di dare sollievo all’economia europea duramente colpita dal Coronavirus, ha basato la sua consistenza nel paradigma della sostenibilità.
Sono state destinate ingenti risorse a sei macro-categorie, dalle quali emergono aspetti come digitalizzazione, innovazione, competitività, cultura oltre alle già citate rivoluzione verde e transizione ecologica. Questo impegno dovrebbero offrire maggiore credibilità al Paese. Pare infatti che si sia già manifestato un certo interesse da parte di investitori stranieri, a conferma che questa sia la strada da percorrere.
In questo cambio di paradigma culturale la competitività rientra nei piani di digitalizzazione, per i quali è stato destinato oltre il 40% delle risorse del Pnrr, e passa anche attraverso la sostenibilità, soprattutto nell’ambito degli acquisti online. Competitor di tutto il mondo sono presenti su piattaforme tecnologicamente avanzate attraverso cui offrono al consumatore la possibilità di effettuare scelte ponderate e sostenibili con un semplice click.
I consumatori hanno mostrato come un requisito base per l’acquisto sia la fiducia che ripongono nell’azienda o nel marchio. Il valore sociale dell’azienda, ciò che rappresenta, diventa un fattore ben più decisivo del prezzo. L’impegno delle imprese italiane per la sostenibilità e la digitalizzazione è uno degli ingredienti per ottenere la fiducia dell’acquirente. Il successo delle nostre esportazioni passa per questi sentieri. Così è, se vi pare.
Il Belpaese per decenni ha mantenuto posizioni di prestigio in alcuni settori industriali. Come non ricordare le famose 4 A, abbigliamento, alimentari, arredamento e automazione. La competitività della piccola e media impresa è cruciale per esaltare la potenzialità del Made in Italy sui mercati internazionali.
In un mondo interdipendente in cui le barriere spazio-temporali non esistono più, sono necessarie capacità di promozione e di comunicazione su scala internazionale per favorire l’export. Queste competenze sono da accompagnare con attività formative adeguate alle nuove sfide e alle nuove figure professionali richieste, come i Digital Export Manager.
Per attuare queste strategie le istituzioni politiche italiane, sia nazionali che territoriali, dovrebbero lavorare all’unisono con le parti sociali, industriali e sindacali. Ma lo scenario è tutt’altro che roseo. Digitalizzazione e sostenibilità rischiano di fare la fine della sora Camilla: tutti la vogliono e nessuno la piglia!