supply chain

L’industria è mobile qual piuma al vento

La nuova moda del momento è l’accorciamento della supply chain. Non a torto, visti i rincari e i problemi di approvvigionamento, di materie prime alimentari ed energetici. Era possibile pensarci prima ed evitare cosi di rappezzare un sistema ormai fallato. Per non dire fallito.

Bruxelles – I processi economici globali mutano a velocità supersonica. Nei prossimi tre anni più del 60% delle aziende manifatturiere europee e statunitensi intende far rientrare in casa parte della produzione asiatica. Questo per l’elevato livello di criticità riscontrato in molte supply chain. Termine che non ha nulla a che fare col supplì, la pietanza tipica della cucina romana.

filiera produttiva supply chain

Con supply chain si intende invece la catena di approvvigionamento che porta sul mercato un servizio o un prodotto, trasferendolo dal fornitore al cliente. Ce l’hanno menata incessantemente sui miracoli della globalizzazione come processo di integrazione economica, sociale e culturale! Adesso invece si parla di regionalizzazione che sta riportando il Mediterraneo al centro dei commerci marittimi. In questo modo verrebbero evitati gli inconvenienti di catene troppo lunghe.

Queste valutazioni sono il risultato di una ricerca presentata alla manifestazione “Progetto Mare“, a cura del Centro Studi SRM. Uno studio sostenuto dalla Fondazione Compagnia di San Paolo, collegata al Gruppo Intesa Sanpaolo. Il Centro è specializzato nelle analisi delle filiere produttive e del turismo, con un focus sul settore logistico-portuale e sul comparto energetico.

Francesco Profumo, presidente fondazione compagnia di San Paolo
Francesco Profumo, presidente della Fondazione Compagnia di San Paolo

L’accorciamento della catena di provviste implica l’avvicinamento degli impianti produttivi ai mercati nei quali i prodotti sono destinati. Questo processo ha preso piede soprattutto in Francia, in Gran Bretagna e in Germania. Nel Bel Paese è toccato ad aziende localizzate nell’Estremo Oriente e nell’Europa orientale, Russia compresa.

La regionalizzazione ha indotto una crescita dei trasporti marittimi a breve raggio, di cui l’Italia è leader nel Mediterraneo. Le brevi tratte offrono non solo vantaggi di mercato ma anche strategici per l’aiuto all’internalizzazione delle imprese. Dettaglio non trascurabile, si riducono pure le emissioni inquinanti.

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Per il Centro Studi si dovrebbe puntare alla valorizzazione delle otto Zone Economiche Speciali del Mezzogiorno. Quindi Abruzzo, Calabria, Campania, Ionica interregionale Puglia-Basilicata, Adriatica interregionale Puglia-Molise, Sicilia Orientale, Sicilia Occidentale, Sardegna.

Queste zone godono di una legislazione economica differente da quella nazionale. Un esempio su tutti la riduzione del 50% dell’imposta sul reddito a partire dal periodo d’imposta nel quale è stata intrapresa la nuova attività.

magazzino supply chain stoccaggio
Uno dei tagli principali sarebbe ai costi di logistica e stoccaggio

L’obiettivo sarebbe la creazione di un sistema portuale più competitivo mediante una rete di collegamenti fra porti, retroporti e industria manifatturiera. Ora su studi e ricerche finanziate da banche o fondazioni ad esse collegate, è legittimo nutrire forti dubbi. Non tanto sulla loro presunta oggettività e scientificità, quando sulla ratio che li muove.

Adesso che conviene accorciare le distanze, si regionalizza. Quando tutti allungavano le tratte, si globalizzava. Scatenando l’apparato mediatico della grande stampa, pronto a suonare le fanfare per magnificare le sorti dell’una o dell’altra tesi. Prima ci si allarga, poi ci si stringe, a seconda di come gira il vento!

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