Avevano iniziato a litigare in piazza e pare che il figlio continuasse ad inveire con parolacce e insulti contro il padre che gli aveva appena dato 30 euro. La vittima ne voleva di più e riusciva a sfilarne dal portafogli del genitore altri 15. L’uomo, più che disperato, sparava un intero caricatore contro quel giovane con il cervello malato.
Raffadali – Ha scaricato un intero caricatore da 16 colpi contro il figlio malato di mente. Prima lo avrebbe avvicinato e con la pistola d’ordinanza avrebbe mirato alla testa: un solo colpo mortale andato a segno. Con altri 8 colpi gli avrebbe centrato il torace e altri 7 li avrebbe sparati all’impazzata mirando al cadavere steso per terra e immerso in un lago di sangue.
Poi l’uomo incappucciato si è allontanato in direzione della fermata dei pullman dove è stato raggiunto e arrestato dai carabinieri. A rimetterci la vita è stato Vincenzo Gabriele Rampello, 24 anni, affetto da malattia psichiatrica, morto ammazzato in piazza Progresso a Raffadali, provincia di Agrigento, lo scorso 1 febbraio alle 11.30 del mattino.
Il killer è stato presto bloccato e identificato: Gaetano Rampello, 57 anni, assistente capo della polizia di Stato in servizio presso il reparto Mobile di Catania e padre della vittima. Insomma un poliziotto, un buon poliziotto spesso in servizio di ordine pubblico nel capoluogo etneo.
Subito dopo l’omicidio, svoltosi in pieno giorno e in una piazza assai frequentata, i carabinieri di Agrigento, diretti dal comandante provinciale, colonnello Vittorio Stingo, avevano sospettato che ad uccidere il giovane menomato potesse essere stato il marito o qualche congiunto delle diverse donne che Vincenzo Gabriele avrebbe molestato sino a diventare uno stalker, denunciato più volte.
Invece poco distante dal cadavere i militari avevano notato il “collega” poliziotto seduto sulla panchina della fermata dei bus. Armi in pugno i carabinieri si sono avvicinati a Rampello e gli hanno chiesto se fosse armato. L’uomo avrebbe prima scosso la testa e poi ammesso, a caldo, l’omicidio appena commesso:
”…Sì, sono stato io…”. L’uomo è stato ammanettato e condotto in caserma per il primo interrogatorio, alla presenza del Pm Chiara Bisso, mentre il cadavere del figlio prendeva la strada dell’obitorio in attesa dell’autopsia.
Vincenzo Gabriele ha vissuto per molti anni in una comunità terapeutica dove i genitori, in buona sostanza, l’avrebbero abbandonato appena ragazzino. Il giovane pare chiedesse assai spesso soldi al padre che, dopo l’ennesima richiesta, avrebbe perso i numi della ragione trasformandosi in spietato assassino:
”…Mi ha telefonato chiedendomi 30 euro – ha confessato Rampello – glieli ho dati ma subito dopo ha iniziato ad insultarmi e minacciarmi dicendomi che ne voleva 50. Mi ha aggredito e sfilato il portafogli, prendendo altri 15 euro, di più non avevo in tasca. A quel punto ho avuto un corto circuito e gli ho sparato non so quanti colpi. Gli davo 600 euro al mese ma non gli bastavano mai, mi picchiava e minacciava sempre per i soldi…”.
Per gli inquirenti il delitto sarebbe stato premeditato ma Rampello nega questa ipotesi:“…Non è vero che ho portato con me la pistola per ucciderlo – avrebbe aggiunto il padre della vittima – la tengo sempre con me per abitudine e per esigenze operative e di custodia...”. L’avvocato di fiducia dell’indagato, Daniela Posante, ha chiesto e ottenuto ottenuto dagli inquirenti l’audizione in aula dei messaggi vocali su WhatsApp nei quali si sente la vittima, più di una volta, insultare e minacciare di morte il padre, da cui pretendeva sempre soldi: “…Se ti permetti di condividere il messaggio o andare dai carabinieri ti ammazzo, ti taglio la testa...”.
Padre e figlio si sarebbero dati appuntamento in piazza, già dalla sera prima, per il solito esborso di denaro. L’uomo, infatti, avrebbe dovuto consegnare al figlio i 30 euro pattuiti. Appena i due si sono incontrati, però, il figlio avrebbe iniziato ad offendere il padre che oltre ai 30 euro si sarebbe visto sfilare dal portafogli altri 15 euro da Vincenzo Gabriele che continuava ad inveire a parolacce e insulti. Il poliziotto, a questo punto, avrebbe perso la testa iniziando a sparare.
La platealità dell’esecuzione e l’accanimento sul corpo della vittima, di contro, farebbero pensare ad un delitto d’impeto frutto di anni e anni di litigi, tensioni, tormenti interiori per la malattia del ragazzo, continui esborsi di denaro e, forse, anche qualche rimorso. La difesa di Rampello ha chiesto i domiciliari con braccialetto elettronico ma comunque vadano le cose qualsiasi condanna non sarà mai più pesante di quella già inflitta dalla coscienza ad un genitore che ammazza il figlio. Dopo la strage di Licata l’omicidio di Raffadali la dice lunga sul dilagare del disagio sociale:
”…I recenti episodi di tragica e inaudita violenza di questi giorni in provincia di Agrigento – evidenzia Luigi Patronaggio, procuratore capo di Agrigento – hanno evidenziato malesseri profondi all’interno della società e delle famiglie, acuiti dal grave isolamento provocato dalla pandemia e non adeguatamente contenuti da un sistema sociosanitario e assistenziale, non sempre pronto ad erogare idonei servizi alla collettività. Troppo spesso quelli che vengono definiti gesti di follia sono il portato di conflitti sociali e familiari che il sistema, inteso in senso ampio e non escluso quello giudiziario, non è stato in grado di contenere e arginare adeguatamente e legittimamente…”.
I disturbi mentali della vittima si sarebbero manifestati durante l’infanzia. Dopo la separazione dei genitori il piccolo Gabriele Vincenzo sarebbe rimasto ospite di un centro per minori con patologie psichiatriche dove è vissuto praticamente in solitudine per molti anni. La madre si era stabilita a Sciacca mentre il padre a Catania. Una volta dimesso dalla struttura il giovane aveva deciso di vivere per conto suo mantenuto dal padre.
Aveva la passione dell’elettronica e spendeva tutti soldi nelle ultime novità: ”…La città è sconvolta – dice il sindaco Silvio Cuffaro – lo conoscevamo tutti, aveva una vita sociale un po’ turbolenta, ma veniva accettato…”.