FROSINONE – ALLA SBARRA LA FAMIGLIA MOTTOLA E DUE CARABINIERI PER LA MORTE DI SERENA MOLLICONE

Ci sono voluti vent'anni per vedere sul banco degli imputati i presunti responsabili della morte di Serena, la ragazza di Arce che voleva denunciare un giro di droga. Non si prevedono tempi brevi per la sentenza.

Frosinone – A 20 anni dalla scomparsa di Serena Mollicone, la ragazza morta ammazzata il 1 giugno del 2001, si apre il processo in Corte d’Assise a Cassino.

Alla sbarra, per rispondere di omicidio volontario e occultamento di cadavere, l’ex comandante della stazione di carabinieri di Arce, Franco Mottola, la moglie Anna Maria ed il figlio Marco. I tre imputati, difesi dall’avvocato Francesco Germani, si sono sempre proclamati innocenti.

A finire sotto processo anche il vice comandante della stazione dei carabinieri di Arce, il luogotenente Vincenzo Quatrale, difeso dagli avvocati Paolo Arpino e Francesco Candido, e l’appuntato Francesco Suprano, patrocinato dall’avvocato Cinzia Mancini.

La caserma dei carabinieri di Arce dove sarebbe avvenuto l’omicidio

Quatrale è accusato di concorso esterno morale in omicidio e di istigazione al suicidio del brigadiere Santino Tuzi che aveva scoperto la verità e intendeva riferirla ai suoi superiori, Suprano dovrà rispondere invece di aver smontato la porta dell’alloggio di servizio contro la quale Serena Mollicone avrebbe sbattuto la testa dopo essere stata colpita da un violento pugno.

La prima udienza si è svolta il 19 marzo scorso dentro un palazzo di giustizia blindato e precluso ai giornalisti. Il presidente della Corte d’Assise, Massimo Capurso, i giudici a latere e la giuria popolare dovranno stabilire se i cinque imputati siano o meno responsabili della morte per soffocamento di Serena, ritrovata cadavere in un bosco due giorni dopo la scomparsa con mani e piedi legati e la testa infilata dentro un sacchetto di plastica.

Numerosissimi i testimoni ammessi a raccontare la loro versione dei fatti. Oltre 260 persone saranno chiamate a deporre ma rimangono ancora tanti i misteri da chiarire in questa vicenda dove la droga rappresenterebbe il movente principale ma non il solo.

Franco e Marco Mottola

A chiedere giustizia non è solo la famiglia di Serena Mollicone ma anche quella del povero carrozziere di Rocca d’Arce Carmine Belli. L’uomo era stato incastrato dal ritrovamento di un biglietto in cui Serena Mollicone aveva trascritto un suo appuntamento dal dentista.

Il foglietto era stato nascosto ad arte nella carrozzeria dove lavorava Belli. Dopo un calvario durato ben 5 anni, Belli è stato prosciolto da ogni accusa ma i presunti responsabili di quanto accaduto dovranno rispondere anche delle calunnie rivolte al carrozziere.

Anni e anni di indagini, e di depistaggi, hanno dato ragione al certosino lavoro del procuratore capo Luciano D’Emmanuele e del magistrato inquirente Maria Beatrice Siravo che avevano ipotizzato il coinvolgimento della famiglia Mottola nell’omicidio della giovane di Arce.

Il brigadiere Santino Tuzi

Tesi questa sostenuta anche dal maestro Guglielmo Mollicone, padre della vittima, che si è spento nel maggio dell’anno scorso senza poter assistere alla prima udienza a cui avrebbe partecipato con estrema soddisfazione, nonostante il dolore per la grave perdita non l’avesse mai abbandonato, per aver raggiunto finalmente lo scopo della sua vita: ottenere giustizia per Serena.

Un ruolo determinante è stato giocato dall’alta tecnologia e dai nuovi mezzi d’indagine scientifica che hanno permesso, in via di elevata probabilità, di accertare che le lesioni contusive e le fratture al capo di Serena sarebbero state la conseguenza di un urto del versante sinistro del capo contro una superficie piana e ottusa, del tutto compatibile con la porta sequestrata.

Il sacchetto di plastica sulla testa della vittima

Gli accertamenti chimici dei carabinieri del Ris di Roma, effettuati utilizzando un microscopio a scansione con luce ultravioletta, hanno poi suffragato questa tesi, perché sul nastro adesivo che avvolgeva il volto della vittima sono state trovate molteplici micro-tracce riconducibili ai vari strati di legno, colla e resina che compongono proprio quella porta installata nella caserma di Arce.

Per problemi legati alla zona rossa e alla pandemia incombente la prima udienza è stata rinviata al 16 di aprile mentre la difesa degli imputati ha richiesto l’estromissione del ministero della Difesa e dell’Arma dei carabinieri dalla costituzione di parte civile.

La stele che ricorda Serena nel bosco alla periferia di Arce

Le prossime udienze del 23 e del 30 aprile, già fissate, si svolgeranno presso alcuni spazi messi a disposizione dal locale polo universitario per esigenze anti-contagio e dovrebbero essere ammessi giornalisti e cineoperatori. Non sono previsti tempi brevi per la sentenza.

 

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