ANTIMAFIA – BEPPE ANTOCI: LAVORO E CULTURA DELLA LEGALITA’ MA I BOSS RITORNINO IN GALERA.

Forze dell'ordine e magistratura continuano senza soste nella lotta alla criminalità organizzata. Poi certe scarcerazioni hanno provocato sconcerto e allarme nella popolazione locale. Non vanifichiamo gli sforzi di chi rimane in prime linea nella lotta alle mafie.

Antimafia non significa soltanto operazioni di polizia e processi contro boss, sodali, imprenditori conniventi e politici collusi. Contrastare il fenomeno mafioso vuol dire anche conoscerlo, seguirlo nella sua evoluzione e renderlo pubblico, questo grazie ai mass media. Poi c’è l’aspetto più importante quello della cultura della legalità e la possibilità di combattere le devianze attraverso le opportunità di lavoro da offrire a migliaia di giovani per tenerli distanti dalle lusinghe della criminalità organizzata sempre in cerca di manovalanza. Insomma occorre combattere le mafie attraverso iniziative sociali mirate alla realizzazione di progetti occupazionali concreti che riguardano il comparto pubblico e privato con particolare rilevanza alle professioni ed ai mestieri del futuro. Più riusciremo a creare lavoro e benessere sano, più potremo allontanare il malaffare dalla società civile. Ne abbiamo parlato con Giuseppe Antoci, già presidente del Parco dei Nebrodi e presidente onorario della Fondazione Antonino Caponnetto, durante una chiacchierata davvero informale:

 

Beppe Antoci contro i boss scarcerati.

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“…Dico sempre ai politici che conosco di impegnarsi sempre di più nella realizzazione di nuove opportunità di lavoro – dice Antoci – cosi facendo potremo combattere il fenomeno mafioso con un’arma straordinaria. Laddove esiste disoccupazione, precariato, disagio sociale e povertà la mafia ha facile gioco specie nelle giovani generazioni. Ecco perchè la politica deve essere sempre più attenta alle necessità della collettività specie in un momento estremamente delicato come quello che stiamo attraversando...”.

E’ innegabile però che con la pandemia in atto c’è stato (e c’è) chi si è fregate le mani facendo affari d’oro, mafie in testa:“… Si e lo avevo anche anticipato – aggiunge Antoci – evidenziando che in quel periodo di particolari restrizioni in determinati indotti economici potevano avere facile gioco le cosche mafiose specie quelle con le mani in pasta nel settore sanitario, dei rifiuti, dei prestiti e cosi via. Il contrasto delle Forze dell’Ordine anche in questi casi è stato immediato e spesso risolutivo…“.

Il Parco dei Nebrodi, dopo il Protocollo Antoci diverse regole di legalità sono state ristabilite.

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Nel 2014 Antoci aveva introdotto nel Parco di Nebrodi un protocollo per l’assegnazione dei terreni che prevedeva l’istruzione della pratica munita di certificazione antimafia che per i lotti di valore inferiore ai 150mila euro. Il protocollo, che prenderà il nome del suo ideatori ovvero Antoci, nel settembre del 2016 è stato esteso a tutta la Sicilia e siglato e adottato dalla tutte le prefetture dell’Isola. il 18 maggio del 2016 Antoci è stato vittima di un agguato mafioso dal quale riusciva a salvarsi grazie alla blindatura dell’auto e al provvidenziale intervento della sua scorta. Il 27 settembre di tre anni fa il suo protocollo veniva adottato in tutta Italia e recepito del nuovo codice Antimafia tramite il voto favorevole del Parlamento. Ed i risultati sono sotto gli occhi di tutti.

L’operazione Nebrodi condotta dalla DDA di Messina. 

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Poi la terribile pandemia durante la quale, con provvedimenti governativi assai discutibili, sono stati scarcerati numerosi boss e personaggi di spicco della criminalità organizzata. Fra questi Gino Bontempo, tornato a casa dopo l’arresto del 15 gennaio scorso, eseguito durante l’operazione “Nebrodi”, condotta dalla DDA di Messina con il procuratore Maurizio De Lucia, che ha portato in carcere 94 persone con il successivo sequestro di 151 aziende colluse con gli ambienti mafiosi. Soprannominato Don Vito Corleone, Gino Bontempo, è stato considerato un autentico padrino dunque la sua scarcerazione, e la sua permanenza “in famiglia”, ha destato sconcerto e viva preoccupazione fra la popolazione locale:

L’agguato mafioso del 18 maggio del 2016 finito senza conseguenze per Antoci e gli agenti di scorta. 

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“…Adesso basta – ha detto Antoci senza mezzi termini – occorre rivedere il provvedimento di scarcerazione. È un segnale devastante la sua permanenza a Tortorici. Lo Stato non può permettersi un tale sfregio a coloro che per anni hanno patito le vessazioni dei gruppi mafiosi. Occorre agire subito con la revisione dell’ordinanza…”.

Gino Bontempo, è ritenuto affiliato alle famiglie mafiose dei Batanesi, le stesse i cui esponenti, durante un’intercettazione dei Ros, avevano chiaramente deciso l’eliminazione dell’allora presidente Antoci:”…Ci vogliono 5 colpi per farla finita con Antoci...“. Cosi non è andata, fortunatamente, ma il problema di certe scarcerazioni “temerarie” rimane:

Gino Bontempo.

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“…Se Bontempo pensa di passare le vacanze a casa – conclude Antoci – sappia che io tenterò in tutti i modi di evitarlo. È un atto di giustizia e di rispetto nei confronti della tanta gente perbene che non può ricevere tali segnaliBisogna aiutare a tutti i costi gli agricoltori e allevatori onesti, stragrande maggioranza della popolazione siciliana, che hanno, in questi anni e per primi, subìto la morsa della mafia. A loro devono giungere con correntezza e senza ritardi gli aiuti comunitari e, per questo, il lavoro di Agea e del suo direttore generale Pagliardini sta dando buoni risultati. A loro, comunque, lo Stato deve far capire che non rimarranno mai soli nelle mani delle famiglie mafiose imperanti nei vari territori. E’ proprio per questo che il rientro in carcere di Gino sarebbe Bontempo una concreta risposta alle loro aspettative…”.

Rimangono ai domiciliari in famiglia o in altre sedi “comode” decine e decine fra boss e mammasantissima, da Nord a Sud. Speriamo davvero che, come dice Beppe Antoci, non trascorrano Ferragosto in compagnia di parenti, amici e conoscenti. Magari davanti al barbeque. 

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