Una recente legge vieta l’uccisione di animali da pelliccia e l’Italia finalmente si allinea con le normative di altre nazioni europee dove queste torture erano già vietate da anni. Gli allevamenti di visoni erano stati dichiarati a rischio contagi ma che fine hanno fatto i report delle locali autorità sanitarie? Ci sono stati i prelievi campione? Se si quali sono stati i risultati? Ci sono state responsabilità degli allevatori?
Roma – Ogni tanto succede anche nel nostro arruffone Bel Paese che la nebbia si diradi lasciando intravedere qualche raggio di sole. Nonostante tutti i problemi sociali, sanitari ed economici scaturiti dal virus ed il pressapochismo delle nostre Istituzioni politiche, a volte capita per magia qualcosa di positivo. Anche se spesso le decisioni assunte dalla politica ricordano le azioni dell’asino che va alla lira, un motto popolare che indica quando si compiono azioni da incompetenti.
Nell’ultima Legge di Bilancio è stato approvato un emendamento che vieta l’allevamento e l’uccisione di animali da pelliccia. Vuoi vedere che il Governo Draghi si è convertito alla sana zoofilia? Sta di fatto che la decisione è stata, finanche, supportata da risorse finanziarie. La norma prevede il divieto di allevamento, riproduzione in cattività e uccisione di visoni, volpi, procioni, cincillà e animali utilizzati per ricavarne pellicce. L’indennizzo per gli allevatori ammonta a 3 milioni di euro per l’anno in corso.
L’Italia si è adeguata ai 12 Paesi europei dove questa attività è già vietata: Austria, Belgio, Bosnia ed Erzegovina, Croazia, Lussemburgo, Macedonia del Nord, Norvegia, Paesi Bassi, Regno Unito, Repubblica Ceca, Slovacchia e Slovenia. Comprensibili le dichiarazioni di giubilo del mondo animalista e di chi ha lottato e contribuito per questo traguardo.
Simone Pavesi, responsabile Area Moda Animal Free della Lega Anti Vivisezione (LAV), ha manifestato una certa soddisfazione: “…E’ una decisione che mette la parola fine ad un’industria crudele, anacronistica, ingiustificabile…”. Carla Rocchi, presidente dell’Ente Nazionale Protezione Animali ha aggiunto: “…I tempi sono maturi per mettere la parola fine a questa catena. Si spera che non vengano chiesti ulteriore proroghe…”.
Purtroppo c’è ancora mercato per le pellicce: nessun allevatore arriverà al termine imposto dal governo, il 30 giugno 2022, senza aver ucciso l’ultimo visone. Si tratta di un provvedimento che va nella giusta direzione e che rispetta l’aspetto etico della questione. Senza dimenticarci che durante la prima fase della pandemia gli allevamenti di visone hanno rappresentato un forte rischio sanitario. Infatti alcuni di essi sono stati considerati veicolo di trasmissione del Coronavirus. Ma pare che non ci siano state conseguenze giudiziarie.
Ricordiamo il grave ed irresponsabile silenzio delle Autorità Sanitarie per non aver diffuso repentinamente la notizia di visoni infetti dal SARS-CoV-2 in allevamento e scoperti già nell’agosto del 2020. Senza avviare uno screening rigoroso con test diagnostici in tutti gli allevamenti di visoni in Italia, nemmeno dopo evidenti casi di positività. Siamo certi che non ci sono responsabilità?
Il Ministero della Salute e le Regioni si limitarono all’osservazione clinica pur sapendo che i visoni, come gli umani, possono essere asintomatici. Questi allevamenti oltre a provocare sofferenze indicibili agli animali, sono stati, quindi, anche veicoli del malefico virus. Si è corso un grosso rischio per la salute pubblica a causa dei ritardi negli accertamenti delle Autorità. In seguito a questo episodio la LAV rinnovò l’appello alle Istituzioni politiche per il divieto degli allevamenti.
Ora che l’obiettivo è stato raggiunto speriamo che non vengano utilizzati i soliti sotterfugi tipicamente italiani che servono a rendere innocua ed inapplicabile qualsiasi legge seppure all’avanguardia. Già aver indennizzato con la cifra di 3 milioni di euro gli allevatori, ovvero coloro che hanno creato veri e propri lager per animali indifesi, è un grande sproposito. Ma tant’è.