ROMA – CE LA FARA’ SUPER MARIO? I BASTIAN CONTRARI ANNUNCIANO BATTAGLIA

Vedremo se l'economista di alto profilo riuscirà a convincere i parlamentari di "basso profilo" a costituire una maggioranza di cui il Bel Paese ha estremamente bisogno. Se c'è da perdere ancora tempo che si torni alle urne.

Roma – Mario Draghi è già al lavoro. Solo dopo le consultazioni con i rappresentanti dei partiti si potrà capire quali possibilità concrete ci saranno per formare una maggioranza. In caso di esito positivo Draghi scioglierà la riserva e si dichiarerà pronto a presiedere il nuovo governo.

Poi sottoporrà a Mattarella la lista dei ministri. A seguire il capo dello Stato dovrà firmare il decreto di nomina e il nuovo premier dovrà giurare, assieme ai rappresentanti dei suoi dicasteri, nelle sue mani. Entro dieci giorni dal giuramento il governo si presenterà alle Camere. Il nuovo presidente del Consiglio allora illustrerà il suo programma e si sottoporrà al voto di fiducia.

Mattarella e Draghi, già si sapeva

In caso di esito negativo delle consultazioni, Draghi tornerà da Mattarella e gli comunicherà la rinuncia all’incarico. Di fronte a un evento del genere il Capo dello Stato potrebbe in teoria affidare l’incarico ad un’altra persona. Ma di fronte all’assenza sia di una maggioranza politica che di una convergenza a sostegno di un “governo istituzionale”, Mattarella non avrebbe altra strada che quella di sciogliere le Camere e aprire le porte alle urne.

Certo amalgamare una solida maggioranza parlamentare non è semplice. Sicuramente la strada è irta di ostacoli ed ogni strategia politica dovrà essere accantonata per dare spazio al senso di responsabilità verso il Paese, che ha solo bisogno di coesione per fronteggiare la difficile situazione sociale ed economica.

Per gestire una nazione e rimanere in piedi un governo deve avere la fiducia di entrambi i rami del Parlamento. Mario Draghi ha bisogno insomma di una maggioranza parlamentare a cui egli stesso, come ha già detto, si rivolgerà per tutte le decisioni da prendere. Quella stessa maggioranza che è venuta meno a Giuseppe Conte dopo che Italia Viva (ben conoscendo il progetto Draghi) aveva ritirato il suo appoggio.

Giuseppe Conte torna alla docenza universitaria

Gli ostacoli non mancano e si chiamano M5S e Fratelli d’Italia. Tutti gli altri attendono le prime mosse dell’economista strapazzato da Cossiga per decidere il da farsi. Ad ogni modo il Conte bis rimane in caricaper il disbrigo degli affari correnti” fino all’entrata in carica di un nuovo esecutivo.

Sono stati tre i governi tecnici o istituzionali nella storia della Repubblica, presieduti da personalità estranee ai partiti. Il quarto potrebbe essere quello di Mario Draghi, l’ex Presidente della Bce, chiamato al Quirinale dal Capo dello Stato dopo il suo appello alle forze politiche per un governo di alto profilo.

Il primo governo tecnico era stato quello presieduto da Carlo Azeglio Ciampi, governatore della Banca d’Italia, sul finire della XIma legislatura, dopo che il precedente esecutivo di Giuliano Amato era stato falcidiato dagli avvisi di garanzia. Il Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro affidò l’incarico a Ciampi che giurò il 28 aprile 1993 diventando cosi il primo premier della storia della Repubblica al di fuori del Parlamento.

Carlo Azeglio Ciampi

L’esecutivo si dimise il 13 gennaio 1994, dopo l’approvazione della nuova legge elettorale maggioritaria, il “Mattarellum”. In seguito Ciampi divenne il 10º Presidente della Repubblica Italiana, dal 18 maggio 1999 al 15 maggio 2006. Che la storia si ripeta con Draghi? Vedremo. Il secondo esecutivo tecnico fu quello guidato da Lamberto Dini, dopo la caduta del Berlusconi I.

Anche in questo caso era stato Scalfaro a incaricare l’ex ministro del Tesoro del governo Berlusconi, oltre che Direttore generale di Bank Italia. Lamberto Dini giurò il 17 gennaio 1995 assieme ad una squadra composta esclusivamente da tecnici, tenendo per sé il Tesoro.

Dopo un anno, l’11 gennaio 1996, rassegnò le dimissioni. Attorno a quell’esperienza di governo nacque “Rinnovamento Italiano”, che alle elezioni, alleato con l‘Ulivo, superò lo sbarramento del 4% ed entrò, sul filo del rasoio, in Parlamento. Appena dieci anni fa, nel 2011, quando la crisi dello spread spinse alle dimissioni il governo Berlusconi IV, il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano diede l’incarico di realizzare un governo a Mario Monti, nominato alcuni giorni prima senatore a vita.

Mario Monti

L’ex commissario europeo giurò al Quirinale il 16 novembre 2011, portandosi appresso una squadra di soli tecnici. Anche in quel caso si parlò di “governo del presidente”. Monti si dimise il 21 dicembre 2012, al termine dell’iter di approvazione della legge di Stabilità. Anche in questa occasione, come i suoi predecessori, aveva creato un partito che si chiamerà Scelta Civica, formato da personalità della società civile.

Alle elezioni SC aveva guadagnato un buon 8,3% all’interno di un polo che si assestava successivamente al 10,56%. Adesso è il momento di Mario Draghi, soprannominato “Super Mario”, per essere considerato l’unico in grado di dipanare il bandolo della matassa che sembra aver imbrigliato la politica. Ci riuscirà?

In ogni caso l’economista tifoso della Roma rappresenta l’ultima carta, prima delle elezioni, per affrontare le gravissime difficoltà sanitarie, sociali ed economiche provocate dalla pandemia. Peraltro si devono gestire, con competenza e visione futura, i fondi europei per la vera ripartenza di un Bel Paese in rosso fisso.

Antonio Di Pietro, uno dei magistrati di Mani Pulite

Una possibile analogia si può fare, forse, solo con il governo Ciampi, che era stato l’ultimo della cosiddetta “Prima Repubblica”, sorto nel giugno del 1993 in un contesto di enormi contrasti fra politica e magistratura scatenati dall’inchiesta “Mani Pulite“. 

Con l’esecutivo Draghi, tecnico-politico, a 27 anni di distanza le prove da affrontare sono diverse ma la necessità di trovare soluzioni in tempi stretti è sempre quella. Infatti davanti ad un governo che potrebbe nascere, dopo l’incarico all’ex governatore della Bce, autore della famosa formula “Whatever it takes, ovvero “Faremo tutto quello che è necessario” contro la crisi, le urgenze hanno il volto di un cambio di marcia sul Recovery Plan, che significa più spesa per la sanità, più investimenti per la ripresa.

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Con alcune priorità trasversali che riguardano i giovani, prime vittime dello shock pandemico, con l’obbligo morale di accompagnarli verso un futuro certo. A questo si aggiunge l’ormai indilazionabile riforma del fisco e l’azzeramento del “magazzino della riscossione per la sopravvivenza delle imprese e delle famiglie.

Grandi, enormi responsabilità che Draghi potrebbe assumersi soltanto in un contesto di equilibrio e volontà nel cambiare in meglio il Paese ormai asfittico. Le premesse, a sentire i partiti, ancora non ci sono

 

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