Dal punto di vista antropologico, ancora oggi, si potrebbe studiare il fenomeno certi di scoprire realtà ancora misteriose per chi non è addentro al fenomeno sociale. Le tribù metropolitane rappresentano la nuova società con cui convivere in futuro?
Roma – Le grandi città italiane e straniere sono popolate da una umanità varia ed eterogenea da costituire delle vere e proprio “tribù” che si differenziano per look, stili di vita e locali che frequentano. Andare a “zonzo” nelle grandi città sia italiane che straniere è come assistere ad una sfilata di varie tribù. Spuntano ragazzi vestiti in maniera inusuale, per noi adulti e di generazioni remote. Con capelli colorati, tacchi vertiginosi o scarpe da tennis altissime e/o slacciate. Fanno shopping sia nei negozi “alla moda” che in quelli “vintage”. Esistono tanti mercati all’aperto che riescono a vestire il grande popolo dei “Fashion Victim”, ovvero quelli che sono vittime della moda.
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Se si passa per il centro dove, in genere, ci sono i più noti locali, è facile imbattersi in rampolli della “città bene”, quelli vestiti di tutto punto, con capi firmati, pronti a lanciarsi nella fiera dell’esibizione spicciola e di piccolo cabotaggio. Se si fa un giro, invece, quasi in periferia si incontrano “quelli da centro sociale”. Un’eterogenea varietà di esemplari intergenerazionali. La maggioranza sono giovani ma sovente sono presenti 40enni ed oltre che “giocano” ancora a fare gli “alternativi”. Ovviamente i loro capi d’abbigliamento sono opposti a quelli dei rampolli ed unisex. Scontata la preferenza per il “vintage” però raffazzonato, sdrucito. Tatuaggi e piercing la fanno da padroni in maniera massiccia. Per la musica sono passati dall’hardcore alla dance. Non disdegnando jungle, drum’n’bass, big beat, perché la contaminazione va per la maggiore.
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In Olanda sono nati i gabber, una tribù a 220 bpm. Poi si sono diffusi in Germania, Svizzera ed, infine, anche in Italia. Hanno il cranio rasato, tuta da ginnastica o jeans, nike air max ai piedi per potersi muovere con agilità. Si ritrovano ai Rave, Shop Party, che possono variare da 10000 a 50000 persone. Ci si lancia in pista inseguendo i 180/220 battiti a minuto, spesso imbottiti di ecstasy o altre schifezze del genere. Con l’inizio del 2000 sono tornate in auge le “zie Pine”. Non si sa bene da dove derivi l’affettuoso nomignolo. Arrivano saltellando su scarpette a tacco alto, con la mini trousse da viaggio sempre nella borsetta a tracollo. Adorano i balli sudamericani ed il hully gully. Frequentano locali dove la musica non sia ad alto volume, che possa permettere una sana conversazione. Escono presto e tornano presto, per protestare contro l’orario di apertura delle discoteche. Non potevano mancare gli intramontabili: gli harleysti. Amano andare in moto, ma non correre. Viaggiare seduti quasi per terra, per via delle selle che nelle harley sono molto basse. La natura e la vita ond the road a cavallo di una moto, anche solo per un weekend. Spesso direttori di banca, impiegati, meccanici, sportivi e non, abbandonati i panni da lavoro, indossano i classici pantaloni in pelle nera allacciati laterali, maglietta e gilet di pelle, l’immancabile “chiodo” ed un paio di stivali e si ritrovano lungo le strade di montagne o ai raduni. Frequentano “american bar”, ascoltando musica rock anni ’50.
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Avanzano con prepotenza i rapper, gli appassionati di hip hop. Ovvero quel genere musicale frutto dell’assemblaggio di rap, graffiti, l’arte di suonare il giradischi, detta anche “turntabling” e la break dance. Indossano i “baggy trousers”, jeans a sacco ed il loro look è “oversire”. Gli anni ’70 sono tornati alla grande con i “modaioli”, quelli che seguono la moda ad ogni costo. Pantaloni scampanati e bisogno di “new age”, di aria sana e ambiente pulito. Si sono affiancati agli hippy che non demordono mai e che vivono nel loro eterno refrain “peace & love, love & peace”.
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Poi ci sono gli “invisibili”, nel senso che non è per niente consueto incontrarli per strada. Eppure esistono: sono i “fetish”. Si mimetizzano con persone qualunque. Però quando c’è qualche fiera o qualche festa eccoli che con tutto il loro splendore nero, scendono in campo. Con divise in latex, cappucci che lasciano scoperti gli occhi e la bocca, catene, tacchi a spillo, stivali con mille lacci. Oppure con la divisa tutta jeans, o ancora con la t-shirt bianca ed il pantalone di pelle aderentissimo. Alcune mostrano di essere a proprio agio con perizoma in pelle e due piercing ai capezzoli. Altre, invece, con corpetto, calze a rete autoreggenti e, magari, un frustino in mano. Ognuno deve essere in condizioni di scegliere il proprio gioco: passività o attività. Un modo questo, forse, per esternare le “perversioni” che manifeste o allo stato latenti sono presenti in ogni essere umano. Oppure renderle palesi, può essere un modo per esorcizzarle.
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Non poteva mancare, in questa grande prateria metropolitana, loro, gli immortali, gli irriducibili: i “rockettari”. Forse è la tribù più numerosa. La maggioranza è cresciuta nelle città in cui vivono. Non hanno più un vero e proprio marchio distintivo. L’età media si aggira sui 35 anni. Alcuni punti fermi, però sono rimasti: le grandi bevute, l’abbigliamento in pelle rigorosamente nera, qualche bandana qua e là, cinture borchiate, stivaletti a punta in bella mostra. Le ragazze, sempre molto sexy, con minigonne mozzafiato, calze a rete e stivali. Per loro, è di rigore il capello lungo ed il trucco duro, deciso. Musicalmente, ormai, ascoltano di tutto. Però il loro cuore batte sempre forte per la vecchia musica punk-rock, il low fi e la scena rock svedese.
Questa carrellata di tribù che affollano le immense praterie metropolitane dimostra che esse esistono in una dimensione da grande città e dipendono anche dalle diverse etnie che la compongono. La sensazione che si ha dopo averle conosciute, seppure solo in superficie, è di una grande varietà e ricchezza di modi e stili. Chissà, trattandosi di tribù, se avranno mai un leader come il grande Toro Seduto che riuscì a riunire sotto un’unica bandiera nel rispetto delle diversità tutte le tribù dei pellerossa nord americani. Chissà.
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