Solo ipotesi naturalmente perché la pace rischia di diventare una parola abusata. Il conflitto andrà avanti per mesi, nella migliore delle ipotesi, e l’opera di ricostruzione di una nazione che potrebbe essere rasa al suolo sarà un’impresa titanica. Nulla a che vedere con il Piano Marshall del 1947 applicato all’Italia da un miliardo e 500 milioni di dollari. In Ucraina la spesa sarà molto ma molto più elevata e ne pagheremo gli oneri.
Roma – Mentre a Mariupol i bombardamenti russi non danno tregua alla popolazione stremata il convincimento che la guerra avrà tempi lunghi è sempre più palese. Nonostante tutto si tenta di ricostruire il filo di un dialogo mai nato e solo annunciato. Finalmente, però, anche in America si inizia a parlare di pace. Almeno in apparenza dopo l’incontro tra Draghi e Biden sembrerebbe sia stato fatto un piccolo passo avanti.
“…Lo sforzo che devono fare tutti, e in particolare Russia e Stati Uniti – si sbilancia il Premier italiano – è quello di sedersi ad un tavolo…”.
Il problema è che ancora non è stato fatto, ma solo invocato a parole da tutti. Stavolta la richiesta di pace proviene da Draghi, dopo aver parlato con il Presidente americano e lo fa in teatro dopo la standing ovation di una cantante ucraina, che ha vinto l’Eurovision Song Festival nel 2016. Nel frattempo, in un video-messaggio Zelens’kyj afferma che “…Gli ucraini sono i migliori difensori...”. Contento lui.
Così al termine della “due giorni negli Stati Uniti” il Presidente del Consiglio sceglie il palco dell’Atlantic Council, dove riceve il premio per la “leadership”, per lanciare la sua proposta di un piano per la ricostruzione dei territori oggi ancora teatro del conflitto bellico.
Il segretario al Tesoro Usa, Janet Yellen, nell’occasione definisce l’ex numero uno della Bce un “…Economista di talento e instancabile funzionario pubblico…” sottolineando anche che “…Gli Usa sono fortunati ad avere come partner l’uomo del ‘whatever it takes‘…”. Ma è vero o no che quando il Diavolo ti accarezza vuole l’anima?
Di contro Draghi afferma senza riserve che: “…Gli strascichi di questi stravolgimenti geopolitici dureranno a lungo, sostenendo anche che, proprio per questo, bisogna attrezzarsi e nel frattempo continuare a sostenere il coraggio degli ucraini, che combattono per la libertà e per la sicurezza di tutti noi…
…Bisogna iniziare anche a pensare alla ricostruzione, un tema affrontato nel bilaterale alla Casa Bianca con Joe Biden, perché la distruzione delle sue città, dei suoi impianti industriali, dei suoi campi richiederà un enorme sostegno finanziario…”.
Un piano Marshall, insomma, come quello che ha contribuito alle relazioni speciali tra Europa e Stati Uniti. Nessun accenno alla situazione economica italiana. Le parole del Premier pronunciate all’inquilino della Casa Bianca hanno comunque abbassato la tensione nella maggioranza, anche se i partiti guardano con impazienza al 19 maggio quando Mario Draghi terrà un’informativa alle Camere. Se verrà confermata.
Il Capo del Governo si è fatto promotore, comunque, di un’operazione per rilanciare la prospettiva della pace e la tappa americana è stata considerata un segnale positivo da chi, invece, temeva posizioni più nette sull’invio delle armi. Differenti però le valutazioni dei leader dei partiti nostrani.
Salvini si è detto soddisfatto dalle parole di Mario Draghi, mentre Conte auspica che la Lega e altre forze si uniscano a loro in merito alla battaglia sugli armamenti da inviare all’Ucraina. Ma nel Pd, in cui i rapporti con i grillini sembrano incrinati, il timore che proprio sul conflitto Russo-Ucraino possa saldarsi un asse giallo-verde, confermerebbe le discussioni che animano il rapporto tra i due sedicenti alleati. Una prospettiva, insomma, che sta di fatto riducendo il campo largo del buon Letta.
In ogni caso l’ex premier non arretra sulle sue posizioni, affermando che “…Se l’obiettivo è sconfiggere la Russia, potremmo coltivare un’escalation militare senza limiti che per me sarebbe una prospettiva folle…”.
Nessun cedimento, dunque, da parte di Conte neanche dopo le dichiarazioni di Draghi che non abbassa la guardia nemmeno sulla necessità di un voto delle Camere sul posizionamento dell’Italia.
Fa discutere, intanto, la prospettiva di eleggere Gianluca Ferrara (M5S) come presidente della Commissione Esteri al posto di Vito Petrocelli, non gradita dagli alleati che ritengono il senatore dichiaratamente “antiamericano”. Alla faccia della libertà d’opinione.