Sono aumentate di molto le assenze per malattia dei lavoratori pubblici e privati. I controlli da parte dei datori di lavoro sono diminuiti mentre sono in netta risalita quelli dell’Inps. Un brutto segno che sarebbe stato incentivato dalla pandemia, ovviamente, ma era già un malcostume diffuso prima del virus. Di contro la carenza di personale e turni massacranti nel comparto Sanità comportano assenze per malattia certamente giustificate.
Il lavoratore in malattia, spesso, è assente ingiustificato. E’ una notizia che potrebbe essere definita di malcostume diffuso, in quanto metterebbe in risalto la “mentalità truffaldina” nel peggiore dei casi o di “furbizia spicciola” nel migliore, quella che ti permette di sopravvivere a danno però di qualche altro poveraccio, se non dell’intera collettività.
La notizia riguarda un dossier del CSEL (Centro Studi Enti Locali – società di formazione del personale degli Enti Locali) da cui emerge che il lavoratore in malattia spesso risulta assente/sconosciuto, tanto per utilizzare la locuzione burocratica.
Ben 25mila nel settore pubblico e 21mila nel privato. Il risultato è frutto di dati elaborati dall’INPS e dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, riferiti ai primi sei mesi del 2021. In base alla normativa vigente l’INPS può verificare l’effettivo stato di malattia e l’attività può essere esercitata sia dal datore di lavoro che disposta d’ufficio dall’INPS stesso.
Sono stati controllati, soprattutto, i lavoratori del Sud per il 42% del totale, rispetto al 37% del Nord ed al 20% del Centro e le donne per il 59% del totale dei lavoratori sottoposti a vista fiscale. I lavoratori pubblici, rispetto ai privati, sono stati oggetto di controllo in maniera più numerosa, tanto che la media delle visite fiscali è stata di 1 su 10.
Il numero complessivo di certificati di malattia presentati ha riguardato oltre 3 milioni di lavoratori. Il dato emerso, confrontando gli anni 2020 e 2021, è davvero inquietante: c’è stato un crollo degli accertamenti su richiesta dei datori di lavoro, mentre sono cresciuti quelli effettuati d’ufficio dall’INPS, addirittura del 359%.
E’ molto probabile che, per quanto riguarda l’anno passato, abbia influito il periodo di distanziamento sociale e il pericolo di contagiarsi più manifesto di adesso. Un aspetto che stride perché considera i lavoratori non tutti uguali di fronte alla legge, ed è rappresentato da vincoli delle fasce di reperibilità, che sono più stringenti per i dipendenti pubblici.
Quest’ultimi, infatti, sono soggetti ai controlli per 7 ore, nelle fasce 9-13 e 15-18. Mentre i lavoratori del settore privato per sole 4 ore. Tutto a norma di legge, per carità, ma questi non sono altro che i misteri degli accordi sindacali. E’ come se avessero voluto, in qualche modo, “punire” il lavoratore del pubblico impiego che si trova in malattia.
Forse una sorta di vendetta della storia o di legge del contrappasso se consideriamo che, soprattutto dagli anni ’80 – quando il debito pubblico schizzò alle stelle – e nei decenni a seguire, i dipendenti pubblici hanno fatto “carne di porco“, tanto per utilizzare un modo di dire caro alla cultura contadina.
Nel senso che una determinata situazione è stata sfruttata fino a non lasciarne il più piccolo residuo, come si fa col maiale, di cui non si butta niente. Ci si riferisce ad un periodo storico in cui i controlli, se c’erano, erano molto più blandi ed “il lavoratore pubblico si metteva in malattia come e quando voleva” con la compiacenza, spesso, delle sigle sindacali e dei medici.
E’ chiaro che sono necessari dei distinguo. Nel comparto dell’assistenza sanitaria, ad esempio, con i lavoratori allo stremo per mancanza di personale di ricambio, per i turni massacranti e con ferie bloccate, la scelta di restare a casa in malattia è spesso l’estrema ratio.
Questo dato si associa ad un’organizzazione del lavoro che nelle sue funzioni apicali manifesta “immobilismo ed incapacità professionale“. Le due facce della stessa medaglia riversano poi i loro effetti deleteri non solo sull’amministrazione di cui si fanno parte, ma sull’intera collettività a cui vengono offerti “servizi meno efficaci e più scadenti”.