Continuano le polemiche sulle nuove norme che regolano la presunzione d’innocenza. C’è chi le considera un ostacolo, chi una conquista civile. Forse per evitare i processi-spettacolo mancava una norma che limitasse gli show nelle aule di giustizia. Insomma un limite alle fiction non alle informazioni corrette sulle indagini e al giusto processo. Nel rispetto di parti lese e imputati.
Roma – Nicola Gratteri “spara” a zero: nessun bavaglio. E oltre ai politici le critiche maggiori sono per i giornalisti: “...Mi ha meravigliato l’atteggiamento timido, quasi vi andassero bene queste direttive…”. Ha detto il magistrato calabrese. Insomma il decreto legislativo sulla “presunzione di innocenza“, approvato dal Consiglio dei Ministri e che impone rispetto e maggiore attenzione sui procedimenti non ancora definitivi, è risultato giustamente indigesto al procuratore di Catanzaro. E non solo a lui. Le restrizioni alla comunicazione giudiziaria, però, continuano a fomentare polemiche e incomprensioni che rischiano di essere comprese soltanto dagli addetti ai lavori.
Oggetto della disciplina non sono solo le dichiarazioni delle autorità coinvolte a vario titolo nel processo, ma anche i provvedimenti giudiziari diversi da quelli destinati ad accertare la responsabilità penale e le dichiarazioni pubbliche rese da qualsiasi autorità istituzionale, compresi ministri e parlamentari, e che riguardino processi penali in corso, anche via web e social.
In questi casi il linguaggio utilizzato non dovrà rappresentare l’indagato e l’imputato, arrestato o meno, come colpevole finché non interverrà una sentenza passata in giudicato. Non solo, le informazioni al pubblico dovranno essere fornite solo se strettamente necessario, ossia per motivi connessi all’indagine penale o per l’interesse pubblico, individuati con decreti motivati. Anche in queste occasioni il linguaggio si dovrà adeguare alla “presunzione di colpevolezza”, chiarendo la fase in cui pende il procedimento penale.
Però il provvedimento normativo sulla “presunzione d’innocenza” non è il primo a regolamentare le comunicazioni informative ai media da parte delle procure, in quanto integra e modifica la normativa già contenuta nella riforma dell’ordinamento giudiziario, con il d.leg.vo n. 106/2006, che limita ulteriormente il confine delle informazioni sui processi in corso.
In particolare già dal 2006 c’erano state alcune restrizioni, su cui nessuno ha mai polemizzato, che avevano reso più pregnante la centralità del ruolo del Procuratore della Repubblica che si assumeva la responsabilità complessiva della gestione del suo ufficio con il dovere di assicurare l’esercizio corretto dell’azione penale, nel rispetto della legislazione sul giusto processo.
Questo voleva già affermare che i singoli Pm non potevano rilasciare comunicazioni riguardanti le indagini che il proprio ufficio stava o aveva svolto, riservando questo dovere, o potere, di intrattenere rapporti con gli organi di informazione solo al Procuratore della Repubblica.
Gratteri però è un fiume in piena e contesta la nuova legge perché rischia di trasformarsi in un bavaglio per i magistrati: “…A me non lega niente e non chiude la bocca alcuno, in quanto sono una persona che non ha timore di niente e di nessuno – ha aggiunto il magistrato – dico sempre quello che penso e se non posso dire la verità è perché non posso dimostrarla. Continueremo a parlare e a spiegare all’opinione pubblica, che ne ha diritto…”. Una staffilata, come abbiamo detto, anche per i giornalisti che non si sono ribellati, per come avrebbero dovuto, al provvedimento del governo.
Per l’Associazione nazionale Magistrati, invece, qualche dubbio rimane “..sono state compiute scelte discutibili – ha detto il presidente Giuseppe Santalucia – e bisogna stare attenti alle eventuali distorsioni applicative che oggi da più parti si prefigurano…”. Mentre il Csm, a maggioranza, ha dato parere favorevole alla riforma.
Di contro forse non c’è motivo di tanta irritazione perché, in buona sostanza, la norma non limita il lavoro di indagine dei magistrati e delle forze dell’ordine ma tenta di garantire regole di maggiore civiltà giuridica, evitando giudizi sommari e superficiali prima della sentenza definitiva.
Per evitare la spettacolarizzazione dei processi e il tritacarne per parti offese ed imputati, sin dalle prime battute del procedimento penale, occorreva un limite. Se poi questo limite dovesse trasformarsi in bavaglio, la cosa prenderebbe d’aceto. E Gratteri avrebbe ragione su tutta la linea. E non sarebbe la prima volta.