Alla stessa stregua di quelle in polvere, pasticche o inoculabili per via endovenosa le droghe musicali hanno preso piede e i danni che comportano al cervello umano non sono distanti da quelli tradizionali. Anche in questo settore occorre fare attenzione alzando il livello di guardia. La musicoterapia ha effetti benefici sull’organismo umano ma sullo stesso principio si basano le I-Doser letali, come si chiamano in gergo i nuovi veleni virtuali.
Roma – La tecnologia, e lo diciamo tutti i giorni, ha stravolto le nostre abitudini, i nostri modi di pensare ed i nostri consumi. Da qualche tempo è scattato l’allarme sulle “cyber-droghe”, note in rete col nome di “I-Doser”. Si tratta di applicazioni per la riproduzione di contenuti audio, che mirano a simulare stati mentali specifici attraverso l’uso di battiti binaurali, alcuni dei quali prendono il nome di varie droghe ricreative.
La storia dell’umanità, sin dai suoi albori, è costellata di tentativi mirati a provocare stati di alterazione della coscienza, sia per motivi individuali allo scopo di rilassarsi, che per la partecipazione a riti religiosi collettivi. Ora la tecnologia ha offerto nuovi modi per “farsi virtualmente“.
Si tratta delle cosiddette droghe digitali sonore, un fenomeno web che si sta diffondendo a macchia d’olio tanto che esistono delle App per la somministrazione di dosi online.
Tutto è partito dal fatto che i suoni digitali, definiti “binaurali“, possono produrre le stesse conseguenze delle sostanze psicotrope. Molte persone hanno ammesso di aver utilizzato tali suoni per modificare il proprio stato psicofisico. Il principio alla base è quello della musicoterapia, ascoltando i battimenti percepiti dal cervello.
Quest’ultimi sono delle particolari frequenze musicali che, stimolando l’ascolto, possono influenzare il cervello, l’umore e lo stato d’animo, portandoli in uno stato di apertura e di coscienza tali da favorire la concentrazione, il rilassamento e l’apprendimento. L’ascolto di questi suoni, secondo gli esperti, deve essere controllato e moderato, poiché un eccesso potrebbe causare effetti controproducenti.
Secondo una ricerca condotta dalla RMIT University – Melbourne, Australia – a cura della dottoressa Monica Barrat, l’orecchio umano riesce ad ascoltare un suono solo se di frequenza compresa tra i 20 e i 20mila hertz. Non tutti arrivano a sentire nell’arco di un intervallo così esteso, spesso si arriva a percepire una frequenza che non supera i 16mila Hz. Per la cronaca l’hertz (simbolo Hz, prende il nome dal suo scopritore, il fisico tedesco Heinrich Rudolf Hertz) è l’unità di misura del Sistema Internazionale della Frequenza.
Ebbene resta un numero di frequenze piuttosto numeroso che per la gran parte delle persone sono inaccessibili. Tuttavia, alcune di queste, se a livello molto basso, possono produrre effetti benefici.
Pare che esista un escamotage per far sì che il nostro cervello possa ascoltarle: creare due suoni con frequenze diverse e udibili dall’orecchio, lasciando tra la prima e la seconda un lasso di tempo rappresentato dal suono binaurale che si intende riprodurre. Trattandosi di un distacco molto breve, e nonostante l’inganno, il cervello riuscirà a sintonizzarsi sulla frequenza desiderata.
Per usufruire di queste cyber-droghe basta collegarsi al sito giusto e scaricare speciali file, da cui si ottengono sequenze sonore dai nomi che sono tutto un programma: marijuana, cocaina, ecstasy.
Dal punto di vista commerciale il fenomeno ha, come si dice in questi casi, preso piede tanto che esiste una società che sul proprio sito online offre un vero e proprio lettore audio per “dosi” di “digital drugs” che tra l’altro possono essere rintracciate anche gratuitamente sul web, proprio come in una piazza virtuale.
Infatti basta fare una semplice ricerca su Google e con pochi clic si ottiene un file zippato che offre una serie di dosi, i cui nomi riconducono a certe sostanze stupefacenti, e dovrebbero riprodurne l’effetto: assenzio, ecstasy, cocaina, morfina, tranquillanti, eroina, peyote e così via.
Le onde Alfa, ad esempio, hanno un potenziale effetto rilassante, ma ci sono pure quelle che sono euforizzanti o eccitanti. Basta inserirle all’interno di un brano musicale ed ecco confezionata la cyber-droga.
Al momento sui rischi per la salute non ci sono ricerche probanti. Tuttavia è necessario stare in campana, se non altro nel rispetto del principio di precauzione. Anche se ancora non si può parlare di dipendenza, il fatto che gli stupefacenti digitali abbiano comunque a che fare con la stimolazione dei neurotrasmettitori, come le droghe finora conosciute, qualche interrogativo si pone.