Le sacche di povertà aumentano in maniera esponenziale specie in questi ultimi mesi. I dati Istat del 2019 mostravano una realtà già grave secondo la quale il rischio povertà era pari al 25,1% se il reddito derivava da attività autonoma e del 20% se da lavoro dipendente. Negli ultimi due anni per la povertà energetica le percentuali sono più o meno le stesse.
Roma – La povertà, nell’ultimo decennio, è cresciuta a dismisura. Numerose sono le cause: crisi economica, carenza di personale qualificato, un welfare state inadatto ai bisogni crescenti, dispersione scolastica. Questa descrizione si è esacerbata con l’avvento del Covid-19, con il caro bollette e con una guerra in corso di cui non conosciamo ancora gli effetti devastanti a media e lunga scadenza. Secondo la CGIA di Mestre a questo quadro drammatico bisogna aggiungere la povertà energetica.
L’Associazione Artigiani e Piccole imprese è, in primis, un’organizzazione sindacale che fornisce servizi alle imprese e promuove miglioramenti per il lavoro autonomo e per gli imprenditori. Nella sua struttura è presente un Centro Studi che periodicamente compie delle ricerche sulla realtà socio-economica italiana.
La CGIA, basandosi sul rapporto OIPE del 2020, ha calcolato che sono circa 4 milioni i nuclei familiari in povertà energetica. Ovvero le famiglie che non riescono a procurarsi un minimo di beni e servizi energetici come il riscaldamento, il raffrescamento, l’illuminazione, l’utilizzo di elettrodomestici ed altro.
L’OIPE, Osservatorio Italiano sulla Povertà Energetica, è un network di studiosi provenienti da università enti pubblici e privati interessati alla povertà energetica definita dal Piano Nazionale Energia e Clima 2020 come la difficoltà ad acquistare un paniere minimo di beni e servizi energetici oppure come la condizione per cui l’accesso ai servizi energetici implica una distrazione di risorse (in termini di spesa o di reddito) superiore a quanto socialmente accettabile.
La povertà tipica si manifesta in contesti di questo tipo: famiglie numerose, case datate e fatiscenti, capofamiglia giovane, spesso indigente e/o immigrato. Come le altre povertà anche quella energetica trova le maggiori criticità nel Mezzogiorno, soprattutto in Campania, Sicilia e Calabria dove si attesta più di un terzo delle famiglie, con punte che sfiorano il 50%.
Nella fascia medio-bassa, ovvero famiglie in difficoltà intorno al 10-14% ci sono Lazio, Piemonte, Liguria, Friuli-Venezia Giulia e la Valle d’Aosta. Tra i territori meno interessati al fenomeno troviamo Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna, Toscana e Trentino Alto Adige.
Secondo la CGIA per uscire da queste sacche di disagio sociale bisogna combattere efficacemente la povertà, la dispersione scolastica e l’esclusione sociale. Oltre a ciò si deve intervenire con politiche sociali a favore dei senza lavoro, soprattutto per incrementare la buona occupazione. Inoltre sulla scia delle decisioni di altri Paesi europei, almeno per un determinato periodo, è necessaria l’introduzione di un tetto all’aumento dei rincari.
Gli ultimi dati Istat relativi al 2019 mostravano una realtà secondo cui il rischio povertà era pari al 25,1% se il reddito derivava da attività autonoma e del 20% se da lavoro dipendente. Negli ultimi due anni per la povertà energetica le percentuali sono più o meno le stesse.
Dopo la Grande Depressione del 1929, iniziata col crollo di Wall Street, il presidente statunitense Franklin Roosevelt lanciava, tra il 1933 e il 1937, il New Deal (trad. Nuovo Patto) per la “ripartenza” del Paese.
Si trattava di un piano di riforme economiche e sociali, i cui interventi si basavano su due punti fondamentali: aumentare i controlli delle banche e delle holding, verificando periodicamente i loro investimenti e il loro capitale; sostenere la domanda interna del Paese.
Di Roosevelt in Italia non se ne scorge nemmeno l’ombra. Primeggiano solo saltimbanchi e guitti di infimo ordine che pensano solo al loro tornaconto, dando vita ad uno spettacolo squallido e riprovevole.