La politica tace per quanto riguarda il problema degli anziani sempre più numerosi e abbandonati al loro triste destino. Durante la pandemia hanno avuto un ruolo importante le forze dell’ordine nel fornire assistenza e aiuto ai soggetti più deboli rimasti soli e senza sostegni in casa. Ma la situazione è molto grave e le istituzioni a livello centrale e periferico hanno il dovere di intervenire.
Roma – Il dibattito pubblico degli ultimi decenni si è sviluppato su alcuni temi fondamentali: la società caratterizzata da un’accentuata senilità, crisi economica, denatalità, disoccupazione e pensioni. La pandemia ha esacerbato questi aspetti in modo da renderli indifferibili. E’ un dato di fatto accertato che l’età media è aumentata grazie ai progressi della medicina e alle migliori condizioni di vita.
Tuttavia, nonostante il legame con la famiglia sia uno dei tratti tipici degli italiani, avere a che fare con gli anziani ha spesso rappresentato un peso difficile da gestire, soprattutto quando si è passati dalla società contadina a quella industriale.
Negli anni ’90 ebbe molto successo un motivetto musicale di Domenico Modugno “Il vecchietto“, il cui refrain era diventato quasi un tormentone “‘sto vecchietto dove lo metto, dove lo metto non si sa. Mi dispiace, ma non c’è posto, non c’è posto per carità“, e la canzone terminava in maniera funerea ma tristemente efficace e attuale “non c’è posto nemmeno nell’aldilà“.
Era un modo ironico per testimoniare le difficoltà di una persona allo scoccare della terza età. Problematiche che sono emerse con evidenza dal rapporto Istat “Gli anziani e la loro domanda sociale e sanitaria“.
L’Istituto di statistica e la Commissione per la riforma dell’assistenza sanitaria per la popolazione anziana, istituita presso il Ministero della Salute, stanno collaborando per indagare le condizioni di fragilità e la domanda di assistenza sociale e sanitaria espressa dalle persone con almeno 75 anni di età.
Su una popolazione di circa 6,9 milioni di over 75, oltre 2,7 milioni presentano difficoltà motorie, comorbilità, ovvero la coesistenza di più patologie in uno stesso individuo, e gravi compromissioni dell’autonomia nelle attività quotidiane di cura della persona.
Inoltre tra questi 1,2 milioni non possono contare su aiuti adeguati e quasi 100mila sono soli e poveri, collocati nella fascia di reddito più bassa tale da raggiungere i 650 euro al mese. Secondo l’Istat per questi anziani che si trovano in stato di indigenza economica e sociale, è indispensabile un intervento immediato sul piano dell’assistenza sociale, oltre che su quello sanitario.
E’ necessario intercettare questi bisogni attraverso una capillare rete di servizi di sostegno sul territorio e prioritariamente a casa dell’anziano. Oltre ad assicurare loro una migliore qualità della vita, ciò permetterà di evitare che la condizione di svantaggio si trasformi ed esploda come domanda sanitaria dalle dimensioni non più sostenibili.
Ma una raccomandazione del genere è in grado di essere recepita dalla politica nazionale e territoriale? Aspettiamo risposte convincenti e concrete.
Nell’attesa è altresì necessario il recupero delle nostre tradizioni popolari più profonde. Quelle in cui la presenza di un anziano in un gruppo sociale o in una comunità, non era considerata come vecchia ferraglia da rottamare, ma come fonte di esperienza e saggezza da trasmettere alle giovani generazioni.
Meritevoli, quindi, di stima e rispetto. Anche perché i rottamatori di oggi, saranno gli anziani di domani. Il tempo è galantuomo.