L’ingegnere veneto avrebbe fornito alla ditta sudanese apparecchiature elettriche non conformi. La ditta di trasformatori è leader del settore e costruisce componenti elettrici di alta affidabilità ed efficienza e in regola con le rigide specifiche nazionali. Il prestanome di un fedelissimo militare filogovernativo sarebbe morto in circostanze misteriose mentre il professionista sarebbe stato liberato a fronte di un notevole esborso economico.
Venezia – Dovrà rimanere “prigioniero” in Sudan almeno sino al 9 di agosto. L’odissea dell’imprenditore veneto Marco Zennaro, 46 anni, titolare della ditta veneta di materiale elettrico “Zennaro Electrical Costruction Srl”, arrestato per frode a Khartoum l’1 aprile scorso, continua nonostante la scarcerazione e le promesse di ritorno in Italia.
L’uomo avrebbe dovuto consegnare ad un’azienda sudanese una partita di trasformatori elettrici nel marzo scorso ma a seguito di verifiche (effettuate guarda caso da un’azienda concorrente per conto del governo locale) il materiale elettrico era risultato non conforme alle normative vigenti nel Paese arabo-africano.
Zennaro, infatti, si era recato a metà marzo in Sudan per tentare di dirimere la grave situazione considerando anche che la Zennaro Electrical Costruction era in affari con il Sudan da ben 25 anni e che mai alcun problema era stato rilevato a carico della ditta italiana, leader nel settore di macchinari elettrici per alta tensione.
Una volta in aeroporto, l’1 aprile scorso, Marco Zennaro, in attesa di rientrare in Italia, era stato arrestato da un plotone di militari che lo trasferivano in albergo in stato di fermo. Pochi giorni più tardi l’ingegnere italiano si vedeva notificata una denuncia per frode con il contestuale ritiro del passaporto e ordine di arresto da scontare ai domiciliari in hotel.
Per circa due settimane l’imprenditore rimarrà segregato in una stanza e guardato a vista dai miliziani. Scaduti i quindici giorni i giudici sudanesi decidevano la traduzione del professionista italiano in una cella di sicurezza del commissariato di Khartoum dove Marco Zennaro rimarrà per 56 giorni in condizioni da lager nazista tanto da rendere subito precarie le sue condizioni di salute che avrebbero per poco sfiorato la tragedia.
Zennaro infatti verrà trasferito in un altro carcere, quello di Omdurman, considerato “migliore” dai giudici locali ma dove le condizioni di Zennaro, di contro, erano pure peggiorate. Dietro pagamento di ben 400mila euro alla ditta acquirente filogovernativa Gallabi&Sons per Zennaro si aprivano le porte del carcere (nonostante una seconda causa sempre per motivi economici con un’altra ditta sudanese) ed il proscioglimento dall’accusa penale che, però, non faceva decadere le doglianze della ditta acquirente in sede civile.
In Sudan, infatti, basta una causa civile per bloccare le richieste di rimpatrio con tutti i guai che una permanenza in questo Paese comporta. Poi accadeva un fatto assai strano. Si scopriva infatti che a richiedere il mandato di arresto ai giudici sudanesi era stato tale Ayman Gallabi (stranamente amministratore della ditta che si riteneva frodata) che ha svolto il ruolo di mediatore nella vendita e che sembra sia stato anche l’autore dei controlli che hanno portato all’accusa di frode contro il professionista veneto.
Nel frattempo la Farnesina, attivando l’unità di crisi, inviava a Khartoum Luigi Vignali, direttore generale per gli italiani all’estero e le politiche migratorie, che ha eseguito le opportune pressioni diplomatiche per la liberazione dell’ingegnere che si trova presso l’hotel Akropole e che dovrà presentarsi il 9 agosto, ancora una volta, davanti ai giudici per quella che dovrebbe essere l’ultima udienza prima del rientro in Italia.
Poi accadeva un fatto assai strano: Ayman Gallabi, il 21 maggio scorso, veniva ritrovato cadavere nelle acque del Nilo, morto in circostanze misteriose come avrebbero riferito fonti di polizia. Che cosa c’è dietro la vicenda dell’imprenditore veneto e che ricorda tanto quella di Giulio Regeni finita molto peggio?
Il procuratore generale di Karthum avrebbe poi disposto la scarcerazione di Zennaro il cui arresto era stato richiesto da Abdallah Ahmed, fedelissimo del generale Mohamed Hamdan Dagalo, vicepresidente del Consiglio militare di transizione dopo il colpo di stato sudanese del 2019. Ahamed sarebbe stato il vero cliente di Zennaro che, attraverso il prestanome Gallabi, avrebbe acquistato i trasformatori “non conformi” per i quali avrebbe richiesto un danno stimato in 700mila euro:
”… Abbiamo attivato tutte le forze in campo, anche a livello locale – ha detto Luca Zaia, governatore del Veneto – per chiudere questa partita e portare a casa Zennaro…”. Solo ricatti per soldi dietro il “sequestro” del professionista italiano?