Il prossimo pezzo lo scriverà un robot

Del giornalismo tradizionale rimane ben poco. Oggi i flussi di notizie sono continui ed il mestiere del cronista deve adeguarsi a Internet e alle nuove tecnologie di comunicazione. Qualità, indipendenza e pluralismo dell’informazione, però, ora come allora fanno la differenza. E sono indispensabili per svolgere al meglio questo grande mestiere nel rispetto dei Lettori.

Il giornalismo e l’informazione in generale hanno subito profondi cambiamenti dall’avvento del web e dell’era digitale, di fronte ai quali non si può rispondere coi vecchi arnesi del mestiere, altrimenti verremmo annientati. Gli storici del settore sottolineano due date importanti: 1664, la nascita della notizia nel Bel Paese con la Gazzetta di Mantova e 1969 la nascita di Internet, approdato in Italia nel 1986. Due “lieti eventi” che hanno cambiato le regole del gioco.

Pochi sanno che la stampa a caratteri mobili è stata inventata nel 1041 dal cinese Bi Sheng. L’invenzione presentò un difetto: essendo fatti di argilla, i caratteri si rompevano molto facilmente.

Nel 1830, negli Stati Uniti, un pubblico alfabetizzato e urbanizzato aveva bisogno di giornali “appetibili“, in grado di contenere notizie di ampio interesse, sia locale che internazionale.

Fino ad allora i giornali erano stati scritti per una élite di lettori e costavano sei centesimi. Un gruppo di editori decise di abbassare il costo ad un penny per renderlo più popolare, persuasi che sarebbero aumentate le vendite e la pubblicità. Come puntualmente avvenne.

Era nata così la Penny Press che si sviluppò in un contesto in cui c’era scarsità di informazione. Del giornalismo inteso come prestazione intellettuale a carattere professionale si comincia a parlare dal 1877, con la nascita dell’Associazione della Stampa Periodica Italiana che assurse ad un apprezzato status sociale e i giornali divennero importanti per la formazione dell’opinione pubblica.

La nascita del web, segna uno spartiacque profondo con l’epoca precedente. Gli anni novanta assistettero al proliferare dei fornitori di servizi Internet. Ciò divenne possibile grazie al progetto originario di ARPANET, decentralizzato e basato su protocolli di comunicazione aperti.

Internet consente un flusso ininterrotto di informazioni da tutti verso tutti. I giornalisti non hanno l’esclusività nel dare le notizie, perché queste possono essere veicolate in mille modi, tutte collegate in un modo o nell’altro al web.

Di conseguenza si verifica la proletarizzazione della professione giornalistica che causa a sua volta la diminuzione dei giornalisti contrattualizzati e pagati meno rispetto al passato. Il “mestiere“, come meglio diceva Enzo Biagi, inizia a perdere credibilità, si assiste ad un crollo vertiginoso di vendite in edicola e gli inserzionisti optano per altri canali, anch’essi collegati al web.

Più che la crisi del giornalismo tout-court, è l’industria editoriale che arranca. A parere degli studiosi c’è bisogno di altre competenze, rispetto a quelle classiche del giornalista: ci tocca diventare scienziati dei dati, analisti, grafici della visualizzazione, esperti di algoritmi ed intelligenza artificiale.

Per non affondare, è obbligatorio adeguarsi ai tempi. Ciò che fa rabbrividire i dinosauri della scrittura che utilizzavano la vecchia e affidabile Olivetti Lettera 33.

Numerose redazioni, soprattutto in Inghilterra e negli Stati UnitiNew York Times, Wall Street Journal, Associated Press, Reuters, BBC, Washington Post – si stanno dotando di R&D Lab, laboratori di ricerca e sviluppo interdisciplinari.

Oltre ai giornalisti, perché le vecchie regole del mestiere non possono essere cestinate, ci sono ingegneri, sviluppatori, programmatori, data scientists e grafici delle visualizzazioni. Queste figure professionali studiano e cercano nuove forme di analisi e di racconto, spesso in collaborazione con università e start up.

Nella società dei big data sta diventando fondamentale l’IA (Intelligenza Artificiale), che è sempre più presente nei processi del flusso di lavoro redazionale. L’agenzia di stampa britannica Thomson Reuters, ad esempio, si è dotata del software Tracer che monitorizza in tempo reale, h24 e 7/7, i social media.

L’Associated Press dal 2014 ha automatizzato i flussi di news sportive e finanziarie. Questo comporta che l’IA è addestrata a leggere i dati finanziari e scrive direttamente i lanci di agenzia, riuscendo a coprire fino a 4400 report invece dei 300 precedenti. In questo caso il giornalista utilizza la grande mole di dati per spiegare e fare analisi.

Sono solo due esempi che ci aiutano a comprendere i forti cambiamenti che ci sono stati e che sono ancora in cantiere. E’ chiaro che la tecnologia ha invaso il nostro settore e dobbiamo tenerne conto, ci mancherebbe, e non possiamo che adeguarci.

Tuttavia, sempre, comunque e ovunque, solo un giornalismo di qualità, pluralista, indipendente, originale e difficilmente replicabile da altri, può fare la differenza. Il pensiero che un algoritmo possa suggerire la stesura di un pezzo è per taluni irritante ma per altri è fortemente rassicurante. E lo chiamano pur sempre “giornalismo“.

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