L’Italia sino a qualche anno fa era in coda a tutte le classifiche ma poi il Covid ci ha fatto piazzare al tredicesimo posto fra le nazioni europee che utilizzano lo smart working. In effetti si tratta di lavoro agile e potrebbe rappresentare il futuro di molte attività professionali. Bisogna attuare normative ad hoc in attesa delle proposte di retribuzione seria, previdenziali e infortuni.
Roma – Indietro tutta. Anche nello smart working l’Italia fanalino di coda rispetto al resto d’Europa. L’arrivo di quella che molto probabilmente gli storici chiameranno la “peste del XXI secolo”, ovvero il famigerato Covid-19, oltre alla crisi sociale e sanitaria che ben conosciamo, ha provocato una serie di cambiamenti nell’organizzazione del lavoro, che erano per lo più in divenire.
Sarà stato il lockdown per evitare assembramenti, sta di fatto che milioni di lavoratori in Europa – almeno quelli che non hanno subito il licenziamento o la cassa integrazione – si sono trovati catapultati in una dimensione fino a quel momento sconosciuta.
E’ si è scoperto così lo smart working, letteralmente lavoro agile. In realtà si è trattato più di lavoro a distanza (telelavoro) che di vero lavoro agile, in quanto il lavoro svolto tra le mura di casa è stato lo stesso dell’ufficio, coi medesimi orari. Lo smart working in senso stretto, prevede, invece, alcune condizioni lavorative tra cui la possibilità di scegliere tempi e spazi per la realizzazione del lavoro, sulla base degli obiettivi condivisi con l’azienda.
Al di là delle dispute filologiche sull’esattezza o meno delle due definizioni per molte aziende e lavoratori, in questi ultimi due anni, è stata adottata una nuova e ibrida modalità di lavoro. I più accaniti sostenitori delle virtù taumaturgiche delle nuove tecnologie hanno inneggiato alla novità attraverso cui si sarebbe risparmiato tempo e danaro. Inoltre il fatto di lavorare a distanza avrebbe portato benefici anche per l’inquinamento delle grandi città, perché il traffico sarebbe diminuito.
Mentre in Italia i lavoratori della pubblica Amministrazione sono rientrati in ufficio, dunque in presenza, dal 15 ottobre scorso, il Governo e le parti sociali stanno discutendo per fissare le modalità del lavoro a distanza. I dati fornitici da Eurostat, l’ufficio Statistico dell’Unione Europea, invece, ci informano che, per esempio, l’Austria è stata la prima nazione in Europa ad adottare questa modalità.
Infatti già nel 2003 la percentuale di lavoratori a distanza tra i 15-64 anni era del 10,3%. Poi al secondo gradino del podio troviamo la Francia col 10% e a seguire tutte le altre nazioni. L’Italia non rientrava nei primi 15 posti: raggiungeva un misero 3,4% di smart workers sul totale dei lavoratori.
Scorrendo la ricerca è emerso che prima della pandemia, nel 2019, si è assistito ad un capovolgimento di posizioni. La più alta percentuale di lavoratori a distanza, il 14,1%, è stata raggiunta da Finlandia e Olanda. A seguire Lussemburgo, Austria, Danimarca, Francia e Irlanda col 7%. Ancora una volta l’Italia non è stata presente nella classifica dei primi Paesi. Che figura.
Nell’arco di tempo intercorso tra il 2003 ed il 2019 la crescita del lavoro agile si è fermata alla percentuale dello 0,2% in più. Se consideriamo l’arco temporale abbastanza lungo, 16 anni non sono pochi, l’aumento oltre ad essere irrisorio, è anche ridicolo. Con ironia possiamo osservare che in questo lungo periodo quanto meno siamo stati coerenti con le nostre deficienze strutturali e politiche.
Con la pandemia si è registrato una forte accelerazione, anche con lockdown diversi da Paese a Paese. L’anno scorso in testa a questa speciale classifica si è ritrovata ancora la Finlandia: 1 lavoratore finlandese su 4 ha lavorato in smart working, seguita da Lussemburgo e Irlanda.
L’Italia con un colpo di reni è balzata al 13° posto: se pensiamo che non era mai stata tra le prime 15, è un risultato incoraggiante, anche se il distacco con la vetta è ancora ampio. L’arrivo del Covid da questo punto di vista è stato positivo perché ha dato una spinta decisiva per il lavoro da casa.
In questi ultimi giorni la variante Omicron ha prodotto nuovi contagi nonostante molti scienziati pensino che si potrebbe trattare anche della “fine” del virus che assomiglierebbe sempre di più a quello del raffreddore. Nonostante il cauto ottimismo alcuni Paesi come la Germania che aveva sospeso l’uso del lavoro agile, stanno pensando di reintrodurlo. Hai visto mai?
Comunque, piaccia o no, il futuro è tracciato: molte attività lavorative si svolgeranno a distanza. Si tratta di stabilire tempi, modalità, retribuzione e diritti, anche quello alla disconnessione. E su questi punti, la politica ed i sindacati, al momento, languono.