I congiunti delle due vittime aspettano che si riaprano le indagini per la morte di Paolo Borsellino, il giovane imprenditore di 34 anni ammazzato con un colpo di lupara al cuore. Il padre Giuseppe, otto mesi dopo, subiva la stessa sorte. Per quest’ultimo omicidio è stato condannato un mafioso che aveva ucciso altri innocenti.
Lucca Sicula – Le vittime di mafia i cui assassini non hanno ancora un nome sono purtroppo numerose. Fra queste è giusto ricordare chi, da cittadino e imprenditore, non ha inteso piegarsi alla volontà dei boss di Cosa Nostra che, ieri come oggi, avvelenano l’economia onesta per trarne indebiti profitti.
Il 21 aprile del 1992 veniva colpito a morte da un colpo di lupara al cuore Paolo Borsellino, 32 anni, imprenditore del calcestruzzo e materiali edili assieme al padre Giuseppe, 54 anni, che cadrà sotto i colpi di una mitraglietta, otto mesi dopo, il 17 dicembre del 1992. L’anno in cui anche Falcone e Borsellino (solo omonimo di padre e figlio morti ammazzati) verranno massacrati con le loro scorte per mano mafiosa e con qualche complicità esterna ancora al vaglio degli inquirenti.
Giuseppe e Paolo erano originari di Ribera, sempre nell’agrigentino, ma si erano stabiliti a Lucca Sicula dove lavoravano nel ramo cementizio che a tutti i costi avevano difeso dalla voracità mafiosa che in quelle zone teneva sotto controllo, e sotto certi aspetti tiene ancora, tutte le attività economiche, specie quelle più redditizie.
I due congiunti seppero resistere ai diversi attacchi di Cosa Nostra pur di non cedere la loro azienda “Lucca Calcestruzzi” ai mafiosi e rimanere onesti. Tutti sapevano dei loro problemi come tutti sapevano chi erano i mammasantissima della zona che solitamente sedevano al bar della piazza principale per sorbire il caffè e dare un’occhiata al feudo che gestivano.
Giuseppe e Paolo erano stati più volte avvicinati dai criminali locali tramite i loro emissari, prima con richiesta di soldi per i delinquenti in carcere e poi, con fare sempre più pressante, con vere e proprie intimidazioni che erano culminate con l’incendio di un camion dell’azienda e poi con diverse coltivazioni date alle fiamme.
Padre e figlio nonostante l’inasprimento della spirale di violenza contro di loro decisero di resistere con un fermo “no alla mafia” decretando cosi la loro condanna a morte. Paolo venne ucciso con un colpo di lupara al cuore dentro la sua Fiat Panda. Il padre lo riconobbe dalle gambe che uscivano fuori da uno sportello.
La mafia non poteva sopportare uno sgarro simile e aveva scelto il mezzo più congeniale per eliminare, in maniera plateale, chi si opponeva alle volontà di Cosa Nostra. Da quel momento per Giuseppe Borsellino contava una cosa sola: scoprire gli assassini del figlio, probabilmente consegnato ai suoi carnefici da un compagno di scuola.
L’imprenditore venne isolato, abbandonato da tutti, istituzioni comprese, tranne che dalla sua famiglia. Anche i suoi vecchi amici e conoscenti lo evitavano per strada e in paese nessuno gli dava più credito. L’uomo, invece, andava e veniva dalla caserma dei carabinieri per chiedere informazioni e per darne. Andava e veniva dagli uffici della Procura dove incontrava i magistrati per informarli in merito ai suoi sospetti e su chi in paese poteva avergli ucciso il figlio. Nel frattempo gli assassini continuavano con minacce e ritorsioni:
”…La gente del paese si avvicinava, “consigliando” di lasciar perdere la morte del figlio – racconta Pasquale Borsellino, fratello di Paolo – mio padre continuò a sostenere, con dedizione, il “no” e supportare la lotta per cui Paolo aveva dato la vita…”.
Stavolta però la mafia avrebbe alzato il tiro affinché tutti si rendessero conto di chi comandava ad Agrigento e dintorni. Il 17 dicembre del 1992 Giuseppe Borsellino veniva massacrato da 37 colpi di Kalashnikov esplosi da due sicari in motocicletta. Nessuno era intervenuto in suo aiuto, in piazza non c’era anima viva tranne Giuseppe e il suo sangue.
Poi le solite indagini, l’omertà, l’oblio. Sino ad oggi, a distanza di 29 anni. Per l’omicidio di Giuseppe era stato condannato a 30 anni Emanuele Radosta, 50 anni, pluripregiudicato per altri omicidi, rappresentante della mafia di Villafranca Sicula. Mentre per Paolo non c’è stato alcun processo:”… Ho chiesto più volte di riaprire le indagini – aggiunge Antonella Borsellino, sorella del povero Paolo – mio fratello attende giustizia…”.