Anche negli aiuti umanitari l’Italia non è fra le prime nazioni. Piuttosto in coda ma sostegni e donazioni occasionali di cibo e farmaci sono palliativi. Bisognerebbe risolvere il problema laddove questo si è cronicizzato. L’assistenzialismo nell’emergenza va bene ma non deve diventare la regola. Occorrono piani di lotta alla fame risolutivi valorizzando le risorse dei territori ove essa miete più vittime.
Roma – E’ proprio vero che le disgrazie non arrivano mai da sole. Lo si subodorava da tempo che il Covid, oltre a provocare la crisi sociale e sanitaria che conosciamo, ha prodotto sconquassi in tutto il mondo, gettando sul lastrico 20 milioni di persone. Ce l’ha riferito l’ONU, aggiungendo che per il 2022 saranno necessari 41 miliardi di dollari per far fronte al fabbisogno di aiuti a livello mondiale alle persone più vulnerabili.
Secondo il rapporto Global Humanitarian Overview – Panoramica umanitaria globale 2022 delle Nazioni Unite – ammonterebbe a 247,4 milioni il numero di persone che avranno bisogno di una qualche forma di assistenza e protezione umanitaria l’anno prossimo. Un dato cresciuto del +17% rispetto all’anno scorso. A questi dati drammatici va aggiunto che il virus ha provocato danni in molti sistemi sanitari, con effetto nefasto sulla lotta a piaghe sociali come HIV, tubercolosi e malaria.
Martin Griffiths, direttore dell’Ufficio per gli affari umanitari delle Nazioni Unite, ha evidenziato la grave situazione: “…La crisi climatica sta colpendo principalmente i più vulnerabili e in maniera violenta. Il trascinarsi di lunghi conflitti, il peggioramento dell’instabilità in vaste zone del mondo, come Etiopia, Myanmar ed Afghanistan, ha acuito ancora di più la situazione. La pandemia, che non è ancora finita, ha provocato danni maggiori, anche per la privazione dei vaccini da parte degli Stati poveri. Il mio obiettivo è che questo appello globale possa in qualche modo ravvivare la speranza di cui milioni di persone hanno disperato bisogno…”.
I dati del rapporto sono terrificanti. Oltre 1% della popolazione mondiale è stata sfollata e la povertà estrema cresce a vista d’occhio. Crisi nella crisi. A soffrire di più sono le donne e le ragazze: le disuguaglianze ed i rischi legati al genere non si annullano nella sventura e nelle avversità, anzi si accentuano ancora di più.
Ci sono, inoltre, 45 milioni di persone che vivono in 43 Paesi a forte rischio carestia. Per combattere la fame a livello mondiale e per affrontare le maggiori minacce da cui scaturiscono insicurezza alimentare – conflitti, crisi climatica, il Covid-19 e le crisi socio-economiche – 120 organizzazioni della società civile (tra cui quasi 100 hanno sede nei paesi interessati dal problema del cibo che non c’è) hanno redatto una lettera comune esortando i leader mondiali a dare risposte urgenti, concrete ed adeguate al problema.
Bastasse una lettera per smuovere lor signori, come si diceva una volta. I grandi della politica mondiale, sordi a qualsiasi richiamo ed incuranti delle condizioni disagiate in cui versano milioni di persone.
Gli aiuti umanitari sono importanti, a volte decisivi, ma rappresentano la soluzione del momento, non del problema nella sua complessità. E’ un salvagente e va considerato come tale. Un’altra cosa sono lo sviluppo della società e dell’economia.
Serve, forse, come atto di misericordia verso gli afflitti e per placare la coscienza dell’occidente industrializzato, se mai ne ha posseduta una. Dopo aver depredato tutte le risorse del terzo mondo, impoverendolo più di quanto lo fosse in origine, la civiltà del primo mondo gli dona le briciole del lauto banchetto.
Un antico proverbio cinese recita “Dai un pesce a un uomo e lo nutrirai per un giorno. Insegnagli a pescare e lo nutrirai per tutta la vita“. Ecco noi siamo ancora nella prima fase: diamo “il pesce” a questi poveri cristi per sfamarli un giorno. Ma “la canna da pesca e l’insegnamento a pescare” è ancora al di là da venire. Se mai avverrà.