L’aggressore è il Nobel per la Pace Abiy Ahmed, Premier etiope, che sconfessando subito l’alta onorificenza ricevuta ha sferrato un sanguinoso attacco contro le minoranze etniche tigrine. Come se le armi non avessero già provocato centinaia di morti innocenti fra i civili le soldataglie violentano e stuprano le donne mentre le organizzazioni umanitarie hanno grosse difficoltà ad aiutare le popolazioni ammalate e affamate. Arrestati cronisti e cineoperatori.
In giro per il mondo ci sono una serie di conflitti armati di cui non sappiamo assolutamente nulla o molto poco. E’ molto probabile che la gente comune sia poca attratta da queste notizie, impegnata com’è a combattere una guerra quotidiana, che non fa rumore e miete vittime silenziose: la lotta per la sopravvivenza, soprattutto in questo periodo di pandemia.
Uno di questi conflitti è esploso nel novembre 2020, tra l’Etiopia e la sua regione più settentrionale, il Tigray, ed ha devastato il territorio provocando povertà e miseria, già atavicamente presenti in abbondanza. Il perdurare del conflitto ha reso, finora, difficile qualsiasi intervento delle organizzazioni umanitarie.
Nell’antica Grecia le guerre si fermavano per le Olimpiadi. A fine giugno scorso il Governo etiope ha annunciato il cessate il fuoco unilaterale durante la stagione agricola che dura fino a settembre.
Il conflitto vede sul campo l’Esercito etiope di Addis Abeba da un lato e la minoranza tigrina della popolazione dall’altro. L’aspro conflitto ha preso di mira anche gli operatori umanitari.
Infatti, a fine giugno, sono stati uccisi senza pietà tre membri dello staff di Medici Senza Frontiere. Inoltre sono giunte continue segnalazioni di gravi violazioni in corso dei diritti umanitari internazionali.
In questo strano conflitto le notizie sono frammentarie ma le violenze continuano ad essere perpetrate, come ad esempio il bombardamento sul mercato di Togoga che ha causato la morte di 64 persone, fra uomini, donne e bambini.
Nel novembre scorso il Governo di Abiy Ahmed – insignito, tra l’altro, del Nobel per la Pace dopo aver messo fine al ventennale conflitto con l’Eritrea – sconfessando subito l’alta onorificenza ricevuta, ha iniziato un’aggressione armata contro la regione del Tigray, dove vive la minoranza etnica tigrina. In questo periodo si è rafforzata la censura di stato, ostacolando l’arrivo di giornalisti internazionali e sono stati effettuati una serie di arresti ai danni dei cronisti locali.
I pochi osservatori internazionali dell’Onu ancora presenti sul posto hanno dichiarato che almeno 4,5 milioni di cittadini del Tigray hanno bisogno di aiuti umanitari. La Croce Rossa ha denunciato la mancanza di farmaci e cure mediche perché l’80% degli ospedali è stato distrutto o depredato.
Il Tigray piegato dalla carestia La miseria e la desolazione del popolo tigrino
Un altro pericolo incombe sulla testa della popolazione tigrina: la crisi alimentare. Pare che 350.000 persone stiano patendo la fame, secondo l’Integrated Food Security Phase Classification, ovvero la classificazione integrata delle fasi di sicurezza alimentare, nota anche come scala IPC. Si tratta di una scala standardizzata per le informazioni sulla sicurezza dell’alimentazione per quanto riguarda la natura e la gravità di una crisi e la risposta strategica.
Come in quasi tutte le guerre anche in questa si sono verificati crimini efferati come l’utilizzo dello stupro come arma da guerra. Sono state raccolte testimonianze di vittime di abusi inauditi dal New York Times e dal Telegraph. Alcuni operatori sanitari hanno riferito che spesso, molte di loro, non si recano in ospedale per paura di gravi ripercussioni.
Secondo notizie che sono giunte dall’Ayder Referral Hospital di Macallé in sei mesi di guerra si sono perpetrati 503 casi di donne vittime di stupri di gruppo, tra cui 91 minorenni, la più piccola di soli 5 anni.
Ecco cosa succede non lontano da noi. Non è che facendo finta di non vedere, la strage non esiste oppure viene annullata dall’oblio delle nostre coscienze. C’è e dovrebbe risvegliarci dal lungo torpore in cui siamo immersi.